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È un antistress naturale: dove puoi mangiare la versione (elegante) di "lu pani cunzato"

Acqua, sale e lievito madre uniti alle preziose farine integrali del territorio. Un sapore unico grazie alle potature di olivo presenti nel forno dove cuoce l’impasto

Salvatore Di Chiara
Ragioniere e appassionato di storia
  • 7 luglio 2022

Il pane nero di Castelvetrano (Foto da Facebook)

Un filo d’olio di Nocellara del Belice, sale, acciughe, basilico, pomodorini, origano, formaggio primosale e… pane nero di Castelvetrano per preparare "lu pani cunzatu" e cenare insieme alla famiglia.

L’introduzione più semplice e gustosa per rappresentare al meglio uno dei prodotti tipici della città di Castelvetrano e rendere giustizia al settore culinario. Il pane nero ha una tradizione antica legata alle vicissitudini del nostro paese e nel tempo, sono cambiati i modi e la produzione si è estesa ai paesi limitrofi.

Dietro a tutto ci sono immensi sacrifici che mettono in moto diverse tipologie lavorative e rendono efficiente il quadro produttivo.

La bellezza e indiscussa "eleganza gustosa" nasce dall'utilizzo di due farine: quella di grano biondo siciliano e quella ricavata da una varietà di grano duro locale raro, la tumminia o timilìa, entrambe integrali e macinate in mulini a pietra naturale.

I fornai uniscono acqua, sale e lievito madre (lu criscenti) alle preziose farine integrali del territorio, raccolgono i fasci secchi delle potature di olivo e le sistemano e accendono il forno dove mettono a cuocere l’impasto. Il grano di tumminia si coltivava nell’isola sin dal periodo della Magna Grecia (Selinunte) e sono stati rinvenuti presso alcune tombe di nobili dei pezzi di pane.
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Queste erano fatte col grano di tumminia. Col termine “trimeniaiòs” si faceva il riferimento particolare (trimestrale) sulla lavorazione di questo grano. Viene seminato nel mese di marzo (grano marzuolo) e caratterizzato da cariossidi scure e cristalline.

Matura velocemente per essere raccolto a giugno. Inizialmente si presenta come una fogliolina e successivamente si sviluppa in una spiga bianca con una barba "nera" fitta.

Grazie alle elevate temperature isolane, l’impegno idrico non è consistente. Una delle caratteristiche è la durezza che rende la superficie del pane di colore scuro e un retrogusto persistente di malto e mandorla tostata che si unisce all’armonia del legno di olivo.

La rarità del grano ha rischiato di far scomparire definitivamente la produzione del pane nero. Grazie alla collaborazione dei panificatori locali il futuro è stato assicurato.

Dopo una lunga lievitazione dell’impasto, il pane viene cotto a 300 gradi nel forno a legna senza usare il fuoco diretto. Prima d’infornare, viene tolta la brace e si ripulisce il forno con una scopa di palma nana.

Il pane nero si presenta a forma di pagnotta (vastedda) o a "zampa di bue" (cuddura). Questo prodotto ha grandi qualità nutrizionali grazie alle farine utilizzate e, in particolare, alla tumminia che permette di mantenere un cuore sano potenziando le difese immunitarie.

Contiene anche il triptofano, un amminoacido che aumenta il livello della serotonina con proprietà sedative e antistress. Ha una lunga conservazione grazie alla sua compattezza. Oggi è un presidio Slow Food e dal 2008 è in attesa del riconoscimento del marchio Dop.

Durante le visite nella cittadina è possibile soffermarsi in uno dei tanti panifici che s’incontrano. È "quasi" dovere assaggiare il pane nero immerso nella sua genuinità. La città offre degli spunti culinari non indifferenti che, uniti all’olio Nocellara del Belice, le sarde di Selinunte e dolcetti tipici (senza dimenticare le brioches) evidenziano il connubio e l’incontro tra sociale e cucina.

La gastronomia castelvetranese trasmette una passione tramandata nel tempo e spesso dimenticata. Dietro ai successi conseguiti, un duro lavoro di assemblaggio delle componenti e tutti meritano un plauso affinché la città possa offrire prodotti di notevole qualità.
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