STORIE
È francese, viaggia per il mondo e sceglie la Sicilia: Sylvie Clavel e le sue "sculture tessili"
Questa storia che vi raccontiamo è fatta dell’intreccio di tre fili, la danza, lo yoga e la scultura tessile, che, a dire della protagonista, s’intrecciano in un unico significato
Sylvie Clavel (Foto di Livio Cavaleri)
Spesso è necessario cucire, tra una sottotrama e l’altra, perché il vissuto di ciascuno somiglia più a un intreccio che a un percorso lineare.
Questa storia, in particolare, è fatta dell’incontro di tre fili diversi, la danza, lo yoga e la scultura tessile; tre fili che, a dire della protagonista, s’intrecciano in un unico significato. «Danza, yoga e scultura mi hanno posseduta» dirà lei stessa «e sono inseparabili».
Sylvie Clavel, francese, vive in Sicilia dagli anni Novanta. All’ingresso del suo appartamento avvisa della presenza di gatti. Cinque esemplari gironzolano per il corridoio, e tra di loro l’ultimo arrivato. «Quando l’ho soccorso era la metà di adesso» dice Sylvie «ne prenderei altri con me, ma devo fermarmi».
Il suo corpo è un’intricata nervatura di corde, che, nodo su nodo, ne ha plasmato il volume; il volto è una maschera africana; al posto dell’addome c’è un «uovo», uno spazio concavo che ospita ingranaggi.
«La nostra pancia è una fabbrica» spiega. Sylvie, in piedi a fianco dell’opera, possiede una certa grazia, nella postura e nei gesti, come se i suoi muscoli ricordassero ancora la disciplina della danza, una posa che si contrappone alla massa enigmatica del titano.
La statua regge una manovella nella mano destra, con la quale aziona forse il tempo, mentre sul pavimento, di fronte a sé, poggia un fallo rudimentale, perché Kronos, in Esiodo, ha evirato il padre Urano per volere della madre Gea. Anche le altre sculture di Clavel indossano maschere africane.
Sono quindici in tutto, le maschere, un regalo del fratello; comperate in Costa d’Avorio, provengono da ogni parte d’Africa. Prestano il volto alla Grande madre, alta più di due metri, e alla Fenice, le altre due opere nella stanza-bottega.
Perché l’arte tessile? Sylvie invita a seguirla in un’altra stanza – non c’è separazione tra bottega e appartamento – dove, davanti a un caffè, riavvolge la sua storia, a partire dalla danza classica, che iniziava a studiare a sette anni, passando poi alla contemporanea e al balletto. I suoi studi la conducono, con la maggiore età, negli Stati Uniti.
«Volevo imparare le grandi coreografie della danza contemporanea» racconta con un’elegante eco francese nel suo parlato. Così si trasferisce nel Vermont, dove un amico le offre alloggio.
«Vivevo tra gli americani, anche se ne rifiutavo i modelli di consumo. Studiavo danza e nel frattempo lavoravo nei ristoranti. Ma non c’era davvero una compagnia e il percorso di studi era diverso da ciò che mi aspettavo».
Qualche tempo dopo, a San Francisco, Sylvie entra a far parte di una compagnia di danza per nove mesi. «Ero pagata pochissimo, sfruttata. Le solite storture dell’ambiente. Sognavo Manhattan».
Durante il racconto, le dita delle mani si muovono in sospensione, come se intrecciassero; poi l’indice della destra scivola sul tavolo, come se seguisse un filo, finché le mani tornano a manipolare l’aria, come se la vicenda stessa fosse l’opera di un telaio.
Dopo San Francisco Sylvie si trasferisce a New York e lavora nella compagnia di Alvin Ailey. Continua a lavorare in un ristorante e vende torte a Central Park.
È la prima metà degli anni settanta. Nel frattempo, dall’età di diciotto anni, ha scoperto lo yoga e si è appassionata a letture mistiche e teosofiche, affascinata dall’incontro tra occidente e oriente. In aggiunta ai testi spirituali, tra i suoi libri c’è pure Macramè.
Creative Design in Knotting di Dona Meilach. La futura artista comincia a intrecciare corde per passatempo, a partire da strutture e contenitori per piante.
È lo stadio iniziale del suo artigianato tessile. Se in un primo momento Sylvie rifiuta di lasciare l’America, anche quando la sorella la raggiunge pregandola di tornare in Francia, in seguito, nonostante abbia ricevuto un’offerta di lavoro dal balletto di Montréal, in Canada, la danzatrice, ventiseienne, decide di tornare a Parigi. In poco tempo riceve una nuova proposta, questa volta dalla compagnia di Brema.
Una sera, poco prima della partenza per la città tedesca, Sylvie è impegnata con le sue sculture tessili. Gli amici le chiedono di sospendere e uscire a cena.
Un incidente di auto, nel corso della notte, interrompe la sua carriera di ballerina. «Impiegherò un anno per ricostruirmi» racconta «con lo yoga avviene la mia rieducazione e decido di studiare e diventare insegnante. Nel tempo libero continuo a intrecciare corde».
Nel corso degli anni Ottanta, Sylvie continua a vivere a Parigi e insegna yoga. Nel frattempo incontra l’artista tessile Ester Chacón Ávila e partecipa al suo laboratorio.
La scelta della Sicilia è legata all’incontro con un uomo di Sambuca, provincia di Agrigento. Al primo viaggio nell’isola, nel 1986, ne seguiranno altri finché l’artista vi si stabilisce definitivamente dai primi anni Novanta. Durante la permanenza a Sambuca di Sicilia, ai corsi di yoga alterna la scultura tessile.
La prima mostra risale al 1995, racconta l’autrice mentre mostra un catalogo delle sue opere. Da alcuni anni, infine, Sylvie vive ad Agrigento.
Le sue creazioni sono esposte da anni a Sambuca di Sicilia, presso la chiesa di San Sebastiano in un primo momento e oggi nel monastero di Santa Caterina; prossimamente, in data da destinarsi, saranno messe in mostra nell’ex Istituto Gianbecchina, nella chiesa di San Calogero.
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