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È di Pisa ma si realizza a Palermo: chi è (e cosa fa) Francesco nella "sua" Ballarò

Gira tra l'Italia e il Regno Unito ma sceglie di vivere in quello che ormai è a pieno titolo il "suo" quartiere e si impegna per vederlo rinascere. La sua storia

Anna Sampino
Giornalista
  • 11 ottobre 2024

Francesco Montagnani

Non sempre il luogo in cui nasci riesce a darti ciò che stai cercando. C'è chi decide di restare e chi, invece, deve partire e girare per andare alla ricerca del proprio posto nel mondo. Magari finisci per trovarlo proprio in una di quelle città in cui molti dei tuoi coetanei partono per avere un futuro e un lavoro dignitosi.

È quello che è successo a Francesco Montagnani, antropologo, pisano di nascita e palermitano, anzi "ballaroto" per scelta. Dopo anni trascorsi girando (e studiando) per l'Italia e il Regno Unito, è a Palermo e in particolare (ci tiene a precisarlo) nello storico quartiere Ballarò-Albergheria - "il mio quartiere" lo sottolinea più volte quando parla -, dove decide di vivere e impegnarsi attivamente.

Proprio qui, partecipando quasi per caso 7 anni fa a una delle prime assemblee pubbliche dell'allora nascente Comitato SOS Ballarò, capisce che questo è il luogo giusto, il suo posto nel mondo.
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Ricorda benissimo quel giorno: «Era il 17 gennaio 2017 e per la prima volta mi sedevo nel cerchio dell’assemblea pubblica permanente di SOS Ballarò. Non volevo fare l’attivista. Allora, di Palermo e Ballarò non sapevo niente, solo quello che avevo letto sui libri, e avevo la netta impressione che qui si facesse solo antimafia di bandiera. “Non è quella la tua politica” mi ripetevo. Mi sedetti carico di scetticismo.

Il tema era la diffusione del crack a Ballarò. Uscii dopo due ore con il compito di scrivere una lettera alla prefettura. Un cambiamento completo, il famoso ribaltone. In due ore ero diventato attivo, mi ero acceso».

Oggi Francesco, che di lavoro fa l'antropologo e l'educatore di strada, si dedica anima e corpo al "suo quartiere" e soprattutto a quei ragazzi finiti nel tunnel della droga: è uno dei principali attori e ideatori della legge regionale sulla prevenzione e cura delle dipendenze patologiche, la cosiddetta nuova legge regionale anti-crack.

«Ci sono voluti 7 anni e 252 giorni per far capire allo Stato che deve fare lo Stato e alla Regione che cosa significa prendersi cura delle persone. Cura sociale».

Francesco in realtà conosce Palermo molti anni prima. Si trova casualmente in città, come turista, con la sua famiglia proprio nei drammatici giorni intercorsi tra la strage di Capaci e quella di via D'Amelio. Deve fare rientro a Pisa proprio il 20 luglio, il giorno dopo l'attentato al giudice Paolo Borsellino. Allora è poco più che un bambino e ha solo poche e confuse immagini di quei giorni assurdi. Ricorda però la difficoltà a rientrare e i visi stravolti dei suoi genitori e degli adulti intorno a lui.

È in quel momento che sente le parole "mafia" e "antimafia". Inconsapevole, si trova in una città stravolta proprio dalla lotta fra questi due mondi, quello della criminalità e quello della legalità. Ancora non può comprenderle del tutto, eppure proprio la dicotomia mafia-antimafia sarà il motivo che lo riporterà a Palermo. Ma andiamo con ordine.

Durante gli anni del liceo a Pisa si sviluppa in lui l'interesse per l'attivismo e l'impegno sociale e politico. «Inizio a documentarmi su cosa fosse la mafia, le sue origini e soprattutto voglio conoscere il suo opposto, l'antimafia. Arrivo così a Palermo, attraverso i libri. Comincio a conoscerla e a studiarla».

Dopo il diploma Francesco continua gli studi universitari a Bologna, dove si iscrive in Antropologia e prosegue con un master e un dottorato in Antropologia sociale all'università di Manchester. Non dimentica Palermo, anzi.

Nel 2016 torna perchè la città, in particolare Ballarò diventa l'oggetto di una sua ricerca antropologica (sulla quale non mi dilungo anche perché credo di non averla capita neanche io).

In quell'occasione si avvicina al Comitato SOS Ballarò e ben presto ne diventa una delle anime più attive. Ne condivide le modalità, lo spirito di aggregazione, l'impegno civico per il territorio e i suoi abitanti. «Solo qui, a Palermo, a Ballarò mi sono sentito davvero libero. Qui ho una libertà di azione che non ho trovato in altre città e ne ho girate parecchie».

«Ballarò è un quartiere autentico, vero, che conserva ancora intatte le sue radici. Un mercato storico che, sebbene prova a diventare turistico, tra i suoi vicoli conserva ancora una socialità forte tra i suoi abitanti, oltre a una rete di associazioni, comunità che vivono attivamente il territorio».

Francesco ama il "suo" quartiere. Tanto che dopo avere completato il dottorato in Inghilterra e superata anche la pandemia da Covid, nel 2021 si trasferisce in pianta stabile a Ballarò .

A chi gli chiede se si sente più toscano o palermitano, risponde secco: «Io sono "ballarioto"» (versione italianizzata di baddariuti

Oggi fa l'educatore di strada per un progetto con bambini e ragazzi di piazza Magione (con l'associazione "Handala") e l'educatore sociale in una scuola media del centro storico grazie a un progetto di "Per Esempio". Un lavoro che lo gratifica perchè gli permette di mettere in pratica quella che lui chiama "cura sociale".

«Parlare con i ragazzi dei quartieri, ascoltare i loro bisogni e le loro necessità senza alcun atteggiamento giudicante - spiega -. L'educatore di strada va verso i giovani, nei luoghi che loro vivono e li guida verso un cambiamento che li porta a migliorarsi. Si tratta di un percorso graduale da fare insieme, non di regole e obblighi calati dall'alto che, in certi contesti, hanno solo l'effetto contrario».

Un'azione che Francesco replica costantemente, ormai da quasi 8 anni, anche nel "suo" quartiere. Con il Comitato SOS Ballarò sono tante le attività: dalla riqualificazione degli spazi abbandonati all'organizzazione di festival ed eventi per la rinascita dell'Albergheria (uno tra tutti il Ballarò Buskers Festival, in programma dal 18 al 20 ottobre, durante il quale i vicoli e le piazze del quartiere si animano di artisti, band musicali, attori e persino acrobati).

«Non è solo un festival ricco di appuntamenti bellissimi ma è anche un palco da cui in questi anni abbiamo lanciato iniziative e acceso riflettori su temi importanti».

Uno fra tutti, un problema che per Ballarò è diventata un'emergenza troppo grande: lo spaccio e il consumo di crack. Un fenomeno ugente che sta causando troppe vittime, soprattutto giovani.

«Un tema di cui mi sono occupato, all'inizio casualmente, dalla mia prima riunione del Comitato. Da allora sono trascorsi 7 anni. Sette lunghi anni a osservare, parlare con i ragazzi, aiutarli quando possibile. Sin da subito abbiamo capito che per aiutare questi giovani e le loro famiglie disperate a Palermo, in Sicilia, c'era poco se non niente. Non solo non c'erano - o meglio non ci sono a oggi - strutture che si prendessero cura di loro ma non c'era nemmeno una legge, una carta, che le istituisse».

Dal lavoro del Comitato alla rete con altre associazioni, studenti e professori dell'università di Palermo (tra tutti la professoressa, Clelia Bartoli e gli studenti dei suoi corsi a Giurisprudenza), si comincia a fare sistema e a pensare a interventi strutturali, tutti ancora da costruire, per garantire la presa in carico e la cura dei tossicodipendenti.

Innanzitutto la legge. In Sicilia arriva a fine settembre con l'approvazione all'Ars del Ddl 51 sulla prevenzione e cura delle dipendenze patologiche. Un testo partito dal "basso", voluto e richiesto dalla società civile e dalle famiglie travolte dal dramma del crack.

Un passo importante sì, ma è solo l'inizio (e bisogna fare presto). «Adesso tocca a noi vigiliare sui tempi effettivi, come l'approvazione dei decreti attuativi che danno il via libera ai servizi, ma anche sulle congruità delle spese effettuate».

«Quello che è certo è che ora, nero su bianco, le persone che fanno uso di sostanze hanno diritto alla cura sociale, integrata, comunitaria, amministrata dal sistema sanitario regionale di concerto con tutte le realtà che operano sul territorio - spiega Montagnani -. Su tutto il territorio siciliano. Non Ballarò. Non l’Albergheria. Non Palermo. Tutta l’isola».
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