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Donna Zenobia e quegli amanti (uccisi): la leggenda dell'Aironera di Castelvetrano

Questa vicenda inizia nel modo più classico, con una richiesta di matrimonio che Giovanni III fa a Zenobia Gonzaga, figlia di Ferrante II e di Vittoria Doria

  • 9 maggio 2021

Non è un caso che Castelvetrano sia nota come la Città degli Ulivi e dei Templi, per la coltivazione di una splendida varietà d’ulivo – la Nocellara del Belice – e la presenza dei templi di Selinunte, antica città greca del VII sec. a.C.

Questa vicenda inizia nel modo più classico, con una richiesta di matrimonio che Giovanni III, investito del principato, fa a Zenobia Gonzaga, figlia di Ferrante II, duca di Guastalla, e di Vittoria Doria.

Riccamente articolate e suggerite, le notizie intorno ai fatti giungono da un bellissimo libro degli storici Francesco Saverio Calcara e Aurelio Giardina dal titolo "La città palmosa. Una storia di Castelvetrano", che assume riferimenti storici e contesti sociali con il prestigio di un elegante rigore.

Come testimonia una cronaca settecentesca dello storico Ireneo Affò, le nozze di Zenobia Gonzaga e Giovanni III si celebrarono per procura, a Guastalla, l’8 febbraio 1607.
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Della donna si ha un ritratto, steso da un gentiluomo napoletano, che la descrive "bella et bianca scavata, con un natural rossore che tanto più la rende vagha nel mirarla, il parlare grazioso, il resto della persona proporzionato al viso”. Intanto, nel maggio 1608, Zenobia parte per Castelvetrano, in un viaggio fantastico e avventuroso.

A Salerno, Zenobia è accolta da Cesare d’Aragona, che la conduce nell’Isola, laddove vivrà con il marito dieci anni d’amore
infelice. In tal senso esistono due lettere, rimaste a lungo inedite, che la donna indirizza al padre don Ferrante e che fanno piena luce sugli inequivocabili stati di malinconia di Zenobia.

Forse perché, come scrive Domenico Medici, la giovane donna fu "strappata a 19 anni dalla placida e familiare atmosfera della piccola corte di Guastalla e costretta a vivere la vita un po’ orientale del lontano palazzo aragonese di Castelvetrano, fra gente che non la comprendeva e con la quale non poteva confidarsi, a fianco di un marito che la trascurava, tutto preso fra i piaceri della caccia e i suoi doveri di alto dignitario del viceré di Sicilia".

Zenobia si consuma in solitudine, nel dolore e con la paura di rimanere sola, accanto a un uomo infecondo che non gli da figli, a causa di una grave forma di varicocele testicolare che gli impedirà di procreare anche con la seconda moglie, donna
Giovanna Mendoza.

Tolte queste due lettere, non esistono più tracce documentali sulla vita di Zenobia fino alla morte, avvenuta nel 1618; e sulla stessa circostanza della sua scomparsa, la storiografia che esiste sui Gonzaga fa scarsi riferimenti a questo personaggio, dimostrando implicitamente il malcontento e il clima di estraneità sostanziale tra i due coniugi.

La morte, insomma, sarebbe da addebitare ai “mali trattamenti del marito”, e, quando alla morte non succede il dolore, più spesso si aprono contenziosi economici; così fu anche per le due famiglie degli Aragona e dei Gonzaga, a causa del testamento di Zenobia redatto pochi mesi prima della scomparsa presso il notaio Vito Mangiapane.

La donna nomina erede universale il marito, ma per uno strano caso non sottoscrive il documento delle sue ultime volontà. Il marito ne ricava una considerevole eredità, ma il padre della donna contesta l’atto non firmato, presumendolo nullo, e
chiede la restituzione della dote della figlia. Inizia una vera e propria guerra legale, fra carte e pareri, che si conclude con una transazione che fraziona l’eredità tra le due famiglie, che così escono di scena.

Fine della storia: Zenobia muore e i parenti contano i quattrini, lasciando a futura memoria un racconto di patimenti interiori e di felicità impossibile.

Allora, come nasce la leggenda dell’Aironera? Da maldicenza e invidia, o da un preciso e diabolico piano familiare? Andiamo con ordine.

Proprio in quegli anni, nel feudo della Favara, era stata costruita una casina di caccia, chiamata dell’Airone, utilizzata per brevi soggiorni durante il periodo estivo. La costruzione, di cui oggi rimane solo un rudere, un tempo si distingueva per l’architettura elegante e la ricchezza dei decori, laddove oggi tutto è andato distrutto: una parte del prospetto crollata, gli affreschi in rovina e i pavimenti asportati.

Pare che durante le lunghe assenze del marito, Zenobia intrattenesse in questo luogo molti colloqui intimi con giovani vassalli, che, dopo l’amplesso, attirati in una stanza, cadevano in un orrendo tranello.

Ciò detto, la fine della donna potrebbe non essere altro che la giusta vendetta del marito, appreso che la moglie trascorreva sempre più tempo nella residenza estiva organizzando ricchi banchetti e accettando la corte – o favorendola con la propria bellezza – dei suoi invitati.

Incapace di resistere alla bramosia della carne, e al contempo terrorizzata che il marito la scoprisse, Zenobia faceva uccidere da un servo uno per uno i suoi amanti, dopo l’amore. All’inizio nessuno si accorse di nulla, ma con il tempo quelle sparizioni finirono per risultare sospette e nel paese si iniziò a parlare di omicidi.

Fu così che un giovane nobile decise di andare in fondo alla questione, smascherando l’assassina: prese a corteggiarla e i due si diedero convegno per una notte di piacere, ma l’uomo teneva la mano ben salda su un pugnale nascosto sotto il mantello.

Tutto andò come da copione: finito l’amore, il servo di Zenobia si avventò sul nobile, che, lesto di mano, lo uccise, dileguando tra le campagne. La leggenda si conclude nel contrappasso dell’onore riconquistato: il marito fece ammazzare la moglie, senza pietà.

Ecco la storia nei sospetti delle cronache e nella fantasia del mito; e chissà chi era veramente Zenobia, una patetica e giovane sposa incurata da un marito freddo e crudele, o una spietata ninfomane che si è fatta vittima di un tranello da lei stessa escogitato?
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