ITINERARI E LUOGHI
Dalla cascata (fra le rocce) all'acquedotto romano: In Sicilia c'è la Valle dello Ghiodaro
Un ambiente naturale fresco e riposante con una cascata che spunta in mezzo a delle rocce levigate simili a delle quinte teatrali. Un luogo da non perdere
Valle dello Ghiodaro (Foto di Sandro Forlì)
Un'escursione breve ma intensa. Già durante il tragitto in macchina abbiamo incominciato a vedere un paesaggio caratteristico guardando la collina che si eleva a sinistra oltre il solco fluviale.
Abbiamo notato dei costoni rocciosi fessurati, con degli scuri lastroni litici sovrapposti. Essi sono le dolomie costituite da carbonato di calcio e magnesio non solubili con l’acqua e perciò rimasti integri.
Ma anche guardando davanti a noi non mancano le sorprese, infatti in macchina attraversiamo la galleria scavata nella roccia di Postoleone e ci accorgiamo che non assomiglia ad altre perché sembra scolpita.
Essa ha una sua storia del tutto particolare essendo stata scavata da trecento soldati prigionieri austriaci dal 1916 al 1918 aiutati da maestri pontieri letojannesi che hanno costruito l’impalcatura durante la prima guerra mondiale interamente a mano con mezzi rudimentali, e doveva servire per attuare un collegamento fra mare e monti rompendo l’isolamento dei paesi collinari: Mongiuffi-Melia, Gallodoro e Roccafiorita collegandoli con la riviera.
Comunque noi abbiamo proseguito il viaggio e siamo arrivati in alto nella valle dello Ghiodaro sovrastata dal monte Kalfa (1.000 s.m.) la cui sagoma assomiglia al Pan di Zucchero di Rio de Janeiro, ma qui lo chiamano il Panettone.
Qui giunti e parcheggiate le automobili ci siamo fatti qualche chilometro a piedi giusto per sgranchirci le gambe. Ci siamo imbattuti in alcune querce plurisecolari, la cui longevità era attestata non tanto dall’altezza raggiunta quanto dalla robustezza dei loro fusti.
Ce n’era una che si era adattata alla pendenza del terreno sporgendo tronchi e rami completamente in direzione obliqua. Ci siamo fermati per una pausa in un luogo ombreggiato e certo non potevamo farlo in un posto anonimo, ma abbiamo sostato dirimpetto a resti di un acquedotto romano perfettamente conservato venuto alla luce solo nel 1990 perché era sommerso dalla vegetazione.
Lo si è scoperto risalente al II secolo D.C. quello del grande imperatore Traiano. Esso doveva portare l’acqua dal torrente Ghiodaro a Taormina. C’erano i laterizi perfettamente integri e un arco oramai invaso da terriccio sotto cui doveva passare il fiume che adesso scorre distante una diecina di metri.
Questo manufatto riveste naturalmente una grande importanza e se verranno finanziati gli scavi emergerà tutto il resto, ma già alcune centinaia di metri più avanti sul fianco del pendio emergono altri laterizi dello stesso.
Dopo avere assaporato il brivido di questo excursus nella grande storia, abbiamo continuato il nostro cammino ed abbiamo trovato un ambiente naturale fresco, riposante ed accogliente all’ombra di grandi platani.
Eravamo sulle sponde di un quieto e limpido torrentello che aveva scavato il suo corso in parte in un letto sabbioso ma ha dovuto procedere pure fra dei massi alcuni dei quali sembravano completamente saldati con il tronco di alcuni alberi.
Le sue rive verdeggiavano del verde tenue e delicato delle foglioline di capelvenere ma c’era pure più avanti il verde lucido e sfavillante di un addensamento di equisetum.
Il torrente si snodava fra cascatelle e pigri meandri, fra mucchietti di sabbia e pietre levigate. Dopo averlo attraversato, ci siamo arrampicati su un pendio di terra e sassi attraverso un arduo ma breve sentiero portandoci su un ripiano da cui siamo discesi in altri successivi per sentieri impervi: ruzzola serpi, come si dice dalle nostre parti.
Muovendoci con cautela per non ruzzolare pure noi l’abbiamo intrapreso, fino ad arrivare al greto di roccia levigata del torrente su cui pigramente scorreva qualche rivolo d’acqua.
Ne scorreva poca perché più a monte si era raccolta in grandi concavità della roccia. Così ci siamo imbattuti in un primo laghetto, uno sbarramento di massi levigati e più in avanti ce n’era un altro più grande alimentato da una magnifica cascata non particolarmente alta forse sette o otto metri, ma con un fiotto abbondante.
Essa scendeva da una parete rocciosa perfettamente levigata racchiusa fra altre due, il tutto poteva somigliare a una quinta teatrale. Veramente una fantastica cornice paesaggistica.
Ci siamo tolti gli indumenti, eravamo provvisti di costume ed abbiamo incominciato a rinfrescarci, dapprima in scarse acque, ma poi arrampicatoci su dei massi e avendoli scavalcati siamo giunti ad un laghetto dove era possibile farsi una nuotata e dopo tutti sotto la cascata per la foto di rito.
Ne abbiamo pure approfittato per farci una colossale doccia. Non capita certo tutti i giorni di disporre di un getto così abbondante e spumeggiante e neanche troppo freddo.
La pelle sarà stata spazzolata a dovere con rimozione delle cellule morte : a starci a lungo se ne sarebbero andate pure quelle vive. Dopo siamo ritornati alle macchine parcheggiate nel piazzale antistante al Santuario S.Maria della Catena i cui devoti particolarmente numerosi vengono da tutti i paesi circonvicini.
La nostra sapiente guida: sacerdote Giovanni Lombardo ci ha informati che questo nome si deve a un evento miracoloso in cui si spezzarono le catene di detenuti ingiustamente condannati che pur ripresi furono graziati grazie all’intercessione del popolo che li ha proclamati innocenti proprio in virtù di quel fatto.
Se ti è piaciuto questo articolo, continua a seguirci...
Iscriviti alla newsletter
|
GLI ARTICOLI PIÙ LETTI
-
ITINERARI E LUOGHI
In Sicilia c'è uno dei posti più belli al mondo: si torna a nuotare nei laghetti di Cavagrande