CURIOSITÀ
Dalla carne di crasto alla "cirasa": le parole del dialetto siciliano che dobbiamo ai Greci
Dagli arabi ai normanni e prima di loro i greci e i latini: tutti popoli dominatori che hanno scritto la storia delle espressioni siciliane più tipiche usate ancora oggi
Ciliegie
Dagli arabi ai normanni e prima di loro i greci e i latini: tutti popoli dominatori che hanno scritto la storia della Sicilia e con lei anche quella delle espressioni siciliane più tipiche usate ancora oggi (delle parole siciliane più diffuse che derivano dall’arabo, ne abbiamo già parlato in questo articolo).
Appizzare, voce del verbo appendere o attaccare, deriva dal greco (eks)èpeson, babbiari, che tradotto in italiano significa scherzare, deriva invece da babazo, e anche tuppiàri o tuppuliari, dall’italiano bussare, deriva dal greco “typtō”.
Ma anche in cucina tanti sono anche i termini del dialetto siciliano presi in prestito dalla lingua greca: come ad esempio la nostra cirasa, la ciliegia, deriva dal greco kerasos, u pitrusinu, cioè il prezzemolo deriva da petroselinon o la carne di crastu, cioè la carne del montone, origina dalla parola greca kràstos.
Anche i babbaluci, le lumache tanto care ai palermitani e alla loro Santuzza - Patrona di Palermo, derivano dal termine greco boubalàkion, anche conosciute nel dialetto siciliano come vavaluci che rievoca la scia di bava che camminando lasciano le lumache lungo il loro percorso.
Nel successivo periodo bizantino, inoltre, si credette che il nome «Sicilia» derivasse dall’unione di due termini greci (siké ed elaia), che denotavano due piante tipiche dell’isola: il fico e l’olivo.
E anche la conformazione geografica dell’Isola, a forma di triangolo, valse l'antico appellativo con cui la Sicilia è conosciuta in tutto il mondo, quello di Trinàcria, che deriva dal greco Trinakría, utilizzato da Omero nell’Odissea.
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