ITINERARI E LUOGHI
Così le donne di Catania sfamavano la famiglia: l'ex Manifattura Tabacchi e gli anni della povertà
Nel 2000 la Manifattura chiudeva definitivamente le porte. Dopo oltre vent'anni, il “Quartiere Militare", così lo chiamano ancora gli abitanti della zona, pare tornerà a rivivere
Un uomo giovane con la maglia sporca di pittura urla qualcosa davanti all’anta socchiusa dell’ingresso posteriore, in piazza San Cristoforo, forse una parola d’ordine, perché questa si apre in risposta. L’uomo fa scivolare all’interno, confidando in altre mani, le aste metalliche di un ponteggio, poi le segue. Il portone si richiude subito dietro di lui, ma averlo visto ci costringe a essere ottimisti.
La consegna dei lavori risale ormai al 2020, il recupero dell’edificio ottocentesco da parte della Soprintendenza avrebbe dovuto permettere, al termine dei diciotto mesi stimati, la tanto attesa apertura al pubblico; noi ancora ci contiamo. L’Ex Manifattura tabacchi diventerà un Museo Interdisciplinare dove i reperti dell’antichità potranno convivere con il patrimonio industriale della città, a cominciare dagli stessi macchinari restaurati della Manifattura.Quando la massiccia struttura neoclassica, che occupa un intero isolato, sarà un museo vi saranno anche sale espositive per mostre temporanee e spazi per conferenze (grazie alla sua superficie di oltre 7200 metri quadrati distribuiti su tre piani). Catania è una città dai mille volti e questo nuovo punto di riferimento culturale, una volta fruibile, permetterebbe la rivalutazione dell’intera zona in cui si trova, al momento trascurata. Quelle spesse mura così imponenti oltretutto hanno un bisogno disperato di farsi riscoprire.
Il “Quartiere Militare", così lo chiamano ancora gli abitanti della zona, e così probabilmente lo chiameranno sempre, si trasformò così nella nuova sede di una delle molte attività industriali di Catania, ma il suo primato rispetto alle altre è legato all’emancipazione femminile.
Alle spalle della centralissima via Garibaldi infatti si nascondevano già, come adesso, i quartieri più popolari della città, dove le famiglie imparano da sempre l’arte di arrangiarsi battagliando con impieghi modesti e soprattutto occasionali. Durante tutto l’Ottocento, per esempio, le donne di San Cristoforo, degli Angeli Custodi e del Fortino, aspiravano al massimo ad un lavoro saltuario nei magazzini di agrumi, come incartatrici (incartavano e disponevano gli agrumi nelle cassette per la spedizione). Provate a immaginare quale piccola rivoluzione, quale barlume di futura indipendenza, fu per le ragazze del quartiere l’assunzione di 523 “sigaraie” (contro soli 44 impiegati uomini)!
La Manifattura diventò la prima vera possibilità per la manodopera femminile, impiegando mogli e figlie di macellai e pescatori. Inizialmente si trattava di un lavoro manuale, pagato “a cottimo”, e si producevano prevalentemente sigari toscani. Poi, dopo il successo ottenuto durante l’Esposizione Agricola Siciliana, grande evento che la città di Catania ospitò nel 1907 e al quale presenziò addirittura il re Vittorio Emanuele III, si cominciarono a produrre le “Macedonia”, le prime sigarette. Solo a quel punto, grazie all’apprezzamento per la loro attività in un contesto tanto prestigioso, alle operaie fu permesso di usare le macchine confezionatrici e imbustatrici: scompariva così di fatto la figura della “sigaraia”.
Le ragazze si radunavano davanti l’austera struttura, riuscivano a scambiare qualche parola prima di indossare la cuffietta e il camice, la strada si riempiva per qualche minuto di chiacchiere timide ma allegre. Si ritrovavano poi alla fine della loro giornata, con i capelli ancora raccolti, la fronte ancora lucida per l’umidità soffocante di quegli enormi ambienti, necessaria per lavorare il tabacco, e un sorriso più stanco.
Nonostante l’indiscutibile fuga dalla povertà che la Manifattura Tabacchi ha rappresentato per tante donne e famiglie tra i ceti più modesti, sia l’atmosfera che i ritmi lavorativi dovevano essere particolarmente rigidi. Le impiegate, finito il turno di lavoro, venivano addirittura perquisite a campione prima di lasciare l’edificio, probabilmente per scoraggiare ogni tentazione istigata dai possibili guadagni del mercato nero.
Sembrano storie così antiche, eppure la sirena che scandiva i turni delle operaie si sentiva ancora per le strade del quartiere, al mattino e al pomeriggio, fino al 1998. Nel 2000 la Manifattura chiudeva definitivamente le porte, anzi i portoni, e nel 2006 l’edificio veniva incluso nel Demanio culturale indisponibile della Regione Siciliana.
Le mura nostalgiche e i finestroni bui non si sono però rassegnati al silenzio, si illudono ad ogni passo di operaio che echeggia nei corridoi vuoti: aspettano che finalmente arrivi il momento di raccontarsi. Anche a noi non rimane che attendere speranzosi che questo pezzo di storia catanese possa tornare protagonista di nuove avventure.
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