STORIE
Corna e delitti nella Palermo del 1500: storia di un vicerè "tutto annorbato" dall'amore
Per la storia che ci apprestiamo a raccontare, l’amore è sempre stata cosa pericolosa capace di corrodere i più imponenti personaggi. Marcantonio Colonna ancora non lo sapeva
Jean Auguste Dominique Ingres, La Grande Odalisque (olio su tela - Louvre, Parigi)
Sempre lo stesso parlò pure di teoria del Leviatano dove rappresenta il potere come un mostro (Il Leviatano appunto, tratto dal Libro di Giobbe della Bibbia e bla bla bla) che ha una testa, cioè quella che comanda, e tutta una serie di sottostrutture connesse al potere stesso.
Detto ancora a pane e panelle significa che il pesce fete sempre dalla testa (puzza sempre dalla testa) e che ogni cretino è re nel suo giardino. Perdonate la premessa ma era necessaria.
Ora, avete presente quella delicatissima e raffinatissima canzone neomelodica che dice: «Ho litigato con mia moglie (perché?), io di nascosto c’ho l’amante (chi è?)».
Ecco, se questa canzone fosse stata una super hit del XVI secolo, probabilmente non sarebbe stato difficile, a Palermo, vedere passare il viceré Marcantonio Colonna in carrozza e sentirgliela canticchiare.
Marcantonio Colonna, nominato viceré nel 1577, ancora non lo sapeva, ma avrebbe vissuto la sua personalissima Odissea a metà tra “Assassinio sull’Orient Express” e “Mimì metallurgico ferito nell’onore”.
E se noi comuni mortali a San Valentino regaliamo la cenetta al ristorantino, Marcantonio regalava monumenti: così fu per Porta Felice, in onore di sua moglie Felicia Orsini, così fu, secondo gossip non confermati, anche per la bella Eufrosina a cui venne dedicata la statua della sirena con le zinne di fuori che spruzzavano acqua per il piacere dei passanti, del Colonna in persona e di quel maniaco di Vincenzo Gagini che la scolpì.
Noi di “C’eravamo tanto amati”, abbiamo il dovere di indagare sulla questione. Era stato organizzato un ricevimento in onore del detto viceré che, se non vecchio di età, era quantomeno vintage.
Musica, happy hour, prosecchino, leccatine di culo, ad certo punto si presentò in tutta la sua freschezza la bellissima Eufrosina Siracusa Valdaura, baronessa di Miserendino: Marcantonio Colonna annorbò (rimase colpito insomma).
La giovane dama era però sposata con Don Calcerano De Corbera che, ancora non lo sapeva manco lui, quel prurito in testa che sentiva era malo presagio delle potenti corna che gli sarebbero spuntate di lì a breve.
E così mentre il povero don Calcerano manco poteva passare più sotto gli archi perché gli strofinavano e gli sfottò arrivavano a mare, la passione galeotta cominciò ad erodere, come l’acqua erode la roccia, la credibilità di Marcantonio che intanto, a colpi di “You can leave your hat on” se la spassava negli alloggi sopra la Porta Nuova in modalità “Nove settimane e mezzo”.
Come nel più genuino cinema cult che si rispetti arrivò il giorno che la moglie, Felicia, rientrò a Palazzo Reale proprio mentre Eufrosina e Colonna erano nel meglio del discorso in camera da letto.
La trama a questo punto non lascia spazio ad altra interpretazione: «Minchia, mia moglie! Rivestiti. No, sotto il letto no. Nell’armadio ti trova…», alla fine l’unica soluzione per la giovane baronessa fu il balcone. Eh, ma diavolo fa le pentole non i coperchi… e qualche cosa doveva pure andare storto.
Eufrosina dimenticò in camera le pianelle. Ora, io non so se avete visto mai le pianelle, ma vi invito a cercarle su internet perché sono un paio di scarpe, simil zoccoli, con le zeppe che ai tempi dovevano avere un non so che di pornografico.
Felicia, che era signora ma cretina no, fece la finta tonta e con molta nochalance fece rientrare Eufrosina che, poveretta, stava attassando dal freddo e la mandò a casa.
Il suocero di Eufrosina, Don Antonio de Corbera, che era uomo di testa e consapevole che la vita è fatta di tante sfumature venne a sapere della tresca: «va bene le sfumature», disse, «ma da qui a cinquanta sfumature di corna ce ne passa!». Senza pensarci due volte partì alla volta di Palermo per andarsi a discutere la cosa.
Niente da fare ci fu, Marcantonio rincretinito d’amore era. Appena seppe che si trovava in città lo fece arrestare per debiti (una scusa si trova sempre) e lo fece rinchiudere dentro il Castellamare dove, giusto giusto, andò a morire di subito misteriosamente.
Cheffà, ti levi di torno il padre e non ti levi di torno pure il figlio che poi magari si vuole vendicare? In un altro impeto di rincoglionimento d’amore il viceré fece invitare con una scusa don Calcerano de Corbera, il marito di Eufrosina, a Malta con l’intento di farselo fuori.
Quello poverino già aveva i problemi suoi con le cervicali a causa del peso delle corna, la moglie non era certo una santa, e, ciliegina sulla torta, sceso dalla nave trovò Don Flaminio di Napoli, sicario di mestiere, che gli diede quattro pugnalate e caput. Cheffà, ammazzi Don Calcerano e lasci testimoni?
Tornato a Palermo per riscuotere il pagamento il sicario venne fatto annegare in un canale.
Sgarra oggi, sgarra domani prima o poi vai a finire dal preside: fu così che Marcantonio Colonna venne convocato a Madrid dal re perché tutti questi morti facevano puzza di beccume (questo vi giuro non so come si traduce). Il viceré innamorato dell’amore non giunse mai a Madrid, morì in viaggio probabilmente avvelenato.
Morto un papa se ne fa un altro e, pensate un po', smaltita la botta fu proprio la vedova Felicia a trovare marito alla giovane Eufrosina, rimasta vedova di amante, nella persona di Lelio Massimo, collaboratore di Marcantonio. Ci saranno altre morti in questa storia ma noi ci fermiamo qua.
La verità della morte di Colonna non si saprà mai, tuttavia, sempre secondo i gossip del tempo, pare che proprio il cavaliere Lelio Massimo fosse segretamente innamorato dei Eufrosina… manco lui farà una bella fine.
La verità che nessuno, nemmeno Marcantonio, avrebbe potuto prevedere tutto ciò: a vecchia avia cent’anni e ancora avia ‘mparari (la vecchia aveva cent’anni e ancora doveva imparare).
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