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Chiu scuru ri menzanotti nun po’ fari: si dice in Sicilia ma ha un "gemello" in Calabria

Un modo di dire che racchiude in sé la saggezza popolare che attraverso una consolazione placa in qualche modo lo stato d’animo del malcapitato

Francesca Garofalo
Giornalista pubblicista e copywriter
  • 23 novembre 2024

Esistono momenti nella vita in cui ci si sente persi e spaesati. Momenti in cui le cose peggiori accadono e non importa il loro numero, ci si aspetta sempre il peggio all'infinito.

In Sicilia le situazioni che fanno sprofondare in un baratro di pessimismo sono esorcizzate con “Chiu suru ri menzanotti nun po’ fari - Più buio di mezzanotte non può fare”.

Detto popolare molto diffuso nel trapanese che, apparentemente, sembra indicare qualcosa di lugubre citando l’oscurità della notte. In realtà, è un motto che vuole dare speranza.

Protagonista è l’istante di tempo che intercorre fra un giorno e l’altro, la mezzanotte, preferito da streghe, vampiri, fantasmi e zombie per fare una visita non proprio di cortesia agli umani in terra.

Ma la tradizione popolare, sebbene spesso si aggrappi alla superstizione, affida alla notte il suo messaggio più speranzoso: non esiste cosa peggiore che possa abbatterci, perché la notte è già di per sé oscura e non può diventarlo ulteriormente.
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Anzi! Forse la cosa peggiore che può capitare è vedere un’alba con le nuvole. Un modo di dire, assai particolare, che però non appartiene esclusivamente alla Sicilia.

In Calabria è molto utilizzato suo "fratello": “Cchiù nera ra mezanotte nun pò veniri - Più buio della mezzanotte non può venire”.

Aree geografiche diverse per uno stesso detto/motto: peggio di così non può andare.

La comunanza in questo caso del siciliano e calabrese probabilmente è dovuta al fatto che la Sicilia e buona parte di Calabria e Salento (specie la zona meridionale estrema della Puglia) formano l’area linguistica chiamata “meridionale estrema”.

Un territorio, nel Mediterraneo, crocevia di culture oltreché anello di “congiunzione” per i rapporti fra le coste*.

Un legame, dunque, che si riverbera anche nel linguaggio lasciando ancora oggi tracce in altri modi di dire.

Ad esempio: "Acqua, cunsigghi e sali, a cu na ‘ndumanda, non ci dari - acqua, consigli e sale, non li dare a chi non li chiede"” usati in entrambe le tradizioni oppure “Cu amici e cu parenti no cattari e non vindiri nenti” e “Amici e parenti, ‘un accattari e ‘un vinniri nenti” tradotti tutti e due in “Non comprare e non vendere niente da amici e parenti”.

Ma tornando al nostro detto che lascia un barlume di speranza anche negli animi più sconfortati e chiama in causa coraggio, forza e resilienza, vale la pena ricordare che non si tratta solo di un modo di dire.

Racchiude in sé la saggezza popolare che attraverso una consolazione placa in qualche modo lo stato d’animo del malcapitato. Senza dimenticare l’uso spesso giocoso che se ne fa per strappare un sorriso, seppur per un breve istante.

*Fonte: Treccani
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