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Chi conosce la Grotta della Regina: l'oasi naturale (che non c'è più) a Palermo

Si narra che qui vi trovò rifugio Costanza d'Altavilla col figlio Federico II. Un luogo risucchiato dalla cementificazione ma mai cancellato dalla memoria collettiva

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 26 dicembre 2024

Un qānat di Palermo

Vi sono luoghi nascosti e misteriosi spesso usati come rifugi: sono grotte, caverne, cavità, spelonche. Alcune di queste a Palermo sono dedicate alla Regina, sovrane con storie che si differenziano come l’ambito del potere che esercitavano. Tra “Acqusanta e Arenella”, l’acqua può diventare manifestazione del potere femminile o anche raffigurazione del Paradiso Coranico, spazio di trasformazione, devozione e meditazione.

Quella all’Acquasanta è una grotta marina da cui “scende” acqua dolce, con una vasca artificiale, a cui si accede attraverso un sentiero nella roccia. Questa ed altre grotte ci riportano a culti antichi con divinità appartenenti a tempi lontani.

Pratiche religiose mediate nel tempo dal Cristianesimo e pertanto legati al culto dell’Immacolata Concezione a cui veniva dedicata una Chiesa. Quest’acqua sorgiva, considerata miracolosa, veniva utilizzata per la cura di alcune patologie avendo le stesse qualità organolettiche di quella di Montecatini Terme.
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Sono numerose le ricerche, contributi e studi, ma c’è un luogo meno conosciuto ma non per questo meno affascinante proprio perché con poca documentazione specifica e significativa, dove la maggior parte delle notizie è legata alla tradizione orale, che se non restituisce il vero storico, offre il vero “possibile” a volte unica fonte in nostro possesso, mi riferisco alla Grotta della Regina Costanza a Brancaccio.

Ci farà da guida un testimone oculare il cui feudo dei nonni era vicino alla grotta, è Maurizio Taormina scrittore e ricercatore. Maurizio che vive e lavora a Rimini mi riporta i racconti sulla grotta chiamata “Rifugio della Regina Costanza D’Altavilla”, dove andava da piccolo con fratelli e cuginetti a giocare e sguazzare tra le anatre.

Questa cavità insieme ad altre costruzioni faceva parte di un sistema forse difensivo più ampio, che si estendeva tra diversi feudi. Siamo anche in presenza dei “Qanat” un trasporto idrico usato per fornire una fonte d’approvvigionamento, questo era costituito da una serie di cunicoli verticali simili a pozzi, “collegati da un canale sotterraneo in lieve pendenza che attingeva ad una falda acquifera trasportando l’acqua in superficie”. Alcuni di questi ancora alimentano l’acquedotto della Città.

Qui siamo vicini al Castello di Maredolce che in realtà era un edificio Islamico il cui nome deriva dal lago artificiale che era nella struttura.

Le implementazioni industriali volute per realizzare un polo tecnologico- industriale, a cavallo degli anni 60/70, racconta Maurizio, hanno distrutto quasi del tutto queste preziose aree archeologiche. Una perdita importante che cancellò anche i feudi che furono espropriati per permettere le costruzioni di edifici e capannoni.

Queste Terre erano ricche, per la maggior parte coltivate ad arance, quelle del feudo Taormina erano così grosse da essere paragonate alla testa di un “picciriddu” e dove dall’800 venne coltivato il mandarino tardivo.

Era un’oasi naturalistica, un Paradiso, con passaggi che arrivavano al mare dove il padre di Maurizio pescava con le mani pesci e polpi. Inoltre i pescatori ogni mattina risalivano lungo il Qanat chiamato “cunnuttu”, dallo Sperone, con il pesce appena pescato che portavano ai proprietari ed ai contadini.

Maredolce era ricco di cortili e corti, la più piccola quella della Torretta era sotto la ferrovia e portava a questa cavità, dove una volta il flusso d’acqua era così potente che il padre di Maurizio rischiò di annegare. Il percorso partiva da San Ciro, poi Maredolce, la Torretta e la Grotta della Regina che si trovava presso un feudo.

La narrazione delle donne tramandata di generazione in generazione raccontava che la Regina Costanza d’Altavilla, dopo la morte del marito, nei momenti difficili legati alle rivendicazioni dei Baroni sul Regno di Sicilia, trovandosi con un bambino piccolo come erede, utilizzò questo luogo per nascondersi.

Questo posto faceva parte di una rete di altre grotte asciutte che permettevano di allontanarsi dalla Residenza del Castello. Non sembra possibile che il luogo fosse usato ai tempi di Costanza come “stanza dello scirocco” o luogo di relax, Costanza figlia postuma di Ruggero II Re di Sicilia, alla nascita fu probabilmente destinata alla vita monacale per andare a 30 anni in sposa al figlio di Federico Barbarossa, Enrico di Svevia.

Alla morte del marito si trovò a fronteggiare grandi pericoli e tumulti per salvare il Regno e assicurare la sopravvivenza del figlio fronteggiando dispute tra Normanni, Svevi, Hohenstaufen e Papalini, fu una donna di grande potere e grande intelligenza.

Chiaramente non abbiamo documenti che attestano la frequentazione di Costanza, ma come abbiamo detto la tradizione orale di questi ricchi proprietari terrieri e dei contadini che vivevano e lavoravano nei cortili è abbastanza univoca e assegna questa grotta a questo scopo, riportando questa storia affascinante.

L’attribuzione della grotta ad un’altra Costanza, in questo caso d’Aragona, moglie di Federico II che visse alla Reggia del Palazzo dei Normanni non sembra possibile, anche se nulla vieta che abbia potuto usufruire di frescura e relax presso le varie grotte.

Torniamo però alla Grotta di Brancaccio dove ci piace immaginare Costanza che allontanandosi in segreto da Maredolce, conduceva con sé il piccolo Federico.

Questo è un luogo che non esiste più come i ricchi feudi, risucchiati dal cemento e da pseudo fabbriche che ne hanno ostruito il passaggio alla grotta, prosciugato la sorgente, ma che non sono riusciti a cancellarne il ricordo.
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