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C'erano "uno monta la luna" e nascondino: chi ricorda i giochi (di strada) a Palermo

Alcune tradizioni sono immutate, altre si adattano al tempo e altre si perdono. È il caso di alcuni giochi da bambini come "acchiana u patri cu tutti i so figghi"

Peppe Musso
Collaboratore
  • 25 febbraio 2024

La storia della città di Palermo affonda le sue radici in tantissime cose, ma forse la cosa che più di tutte caratterizza il passare dei secoli del capoluogo siciliano è il tramandarsi delle tradizioni.

Alcune si mantengono immutate nei lustri; altre, invece, si adattano al tempo; altre ancora si perdono. È il caso di alcuni giochi da bambini che i nostri padri o nonni erano soliti praticare per strada, di cui per fortuna abbiamo ancora testimonianze.

Uno dei giochi più amati dai bambini palermitani era senza dubbio "acchiana u patri cu tutti i so figghi" (lett. sale il papà con tutti i suoi figli).

Il gioco consisteva nel comporre una sorta di catena umana che arrivasse fino al muro, e appoggiato ad esso si metteva un bambino (di solito il più magro) che fungeva da cuscino. Ci si divideva in due squadre, e lo scopo del gioco era saltare su questa sorta di millepiedi umano, permettendo a tutti i componenti della squadra di rimanere in equilibrio.
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Quando si cadeva, avveniva il cambio del turno.

Un altro gioco davvero singolare aveva il nome di "Uno monta la luna". Questo gioco, sempre di gruppo, consisteva sempre nel saltare un malcapitato che doveva stare piegato. Ad ogni persona era assegnata una frase da dire durante il salto, e anche una azione prevista.

Chi sbagliava, perdeva il posto. La scelta dei ruoli avveniva attraverso una filastrocca, che era la seguente: "Aulì ulè, chi t’amusè, chi t’apprufitta l’usinchè, aulì ulè, aulì ulè".

Le frasi erano davvero assurde e singolari: si passava da “uno monta la luna” a, per esempio, “Tre, dai un bacio alla figlia del re” e in quel caso saltando si doveva mimare un bacio.

Alcuni sono davvero difficili da comprendere, come il numero quattro, "spezzatore di gatti". Si arrivava fino a tredici, e colui che stava sotto aveva la possibilità di alzare la testa, in qualche occasione, per provocare il mancato salto dell’altro giocatore.

Le bambine, principalmente, si riunivano per disegnare con i gessetti, coi quali realizzavano anche la celeberrima "campana": un percorso che alternava diverse tipologie di salti, da fare seguendo un ordine preciso e prestabilito.

Chi metteva tutti d’accordo era il nascondino: uno dei pochi che è rimasto uguale nei secoli, e che ancora viene praticato. Dinamiche semplici, grandi gruppi di bambini e azioni che di certo, per essere capite fino in fondo, dovrebbero essere chiese a persone di cento e più anni.

Quel che è certo è che ormai il mondo si sia evoluto verso una direzione diversa: non c’è più spazio per giocare per strada, è diventato oltremodo pericoloso.

I bambini hanno trovato altri modi per divertirsi e rimanere connessi, e non per forza il progresso è sinonimo di bruttezza. Ma, in ogni caso, i giochi che si facevano a Palermo negli anni passati non vanno persi, anzi devono essere tramandati, perché fanno parte di quel corredo culturale che rende la città unica al mondo. E magica.
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