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C'era una volta "Funnucu novu": una perla (siciliana) sfruttata che oggi non esiste più

È il destino che fa male a lu cori, di una gemma siciliana sfruttata e abusata in nome del progresso. Vi raccontiamo la (triste) storia di Marina di Melilli

Francesca Garofalo
Giornalista pubblicista e copywriter
  • 7 agosto 2023

Marina di Priolo

Quella che state per leggere è una storia impossibile da cominciare con “C’era una volta”, perché non è una fiaba, né tantomeno una leggenda.

È il destino che fa male a lu cori, di una gemma siciliana sfruttata e abusata in nome del progresso: Funnucu novu o Marina di Melilli.

Una località in provincia di Siracusa, divenuta borgo a partire dagli anni '50 e popolata da circa 1000 abitanti, dal nome particolare che deriva dall'arabo "funduq", cioè "magazzino".

Una costiera su cui i greci hanno avuto la fortuna di posare gli occhi e sostare, tanto da chiamarla “Baia degli Dei”; e non c’è da stupirsi, perché Marina di Melilli era un sogno: sabbia bianca e finissima, fondali bassi e mare cristallino dalle tonalità cangianti.

In questo paradiso le case degli abitanti non erano semplici abitazioni, ma agglomerati di colori (ce n’era persino una decorata con le conchiglie), con barche ormeggiate di fronte alle abitazioni per avventurarsi subito in quel mare incantatore.
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E che dire della sua posizione?

Incastonata in un golfo di fronte alla penisola Magnisi, dove si trova la necropoli Thapsos, l’insediamento protostorico tra i più importanti in Sicilia; posta a diversi chilometri dai resti archeologici della città di Megara Hyblaea definita la "Pompei
siciliana" e a pochi passi dalle Saline di Priolo.

Oggi, di Marina, se ne può parlare solo al passato con un misto di collera e rassegnazione, perché inghiottita e sfregiata dalla raffineria ISAB, ISAB Sud, parte del più grande polo industriale d’Europa, con mostri di ferro e acciaio che nel ‘70 hanno portato progresso e lavoro.

Le attività agricole in quel periodo di boom economico non potevano bastare, così ha inizio quella che viene chiamata operazione “Tabula rasa”: radere al suolo case e piccole attività e iniziare a costruire gli stabilimenti.

Ai proprietari delle case vengono offerti indennizzi o abitazioni nei paesi limitrofi Melilli, Priolo, Floridia. Ma circa 6/7 famiglie rifiutano di andare via e animano come possono l’ex borgo: il panificio e la macelleria rimangono attivi a fatica, anche se per pochi. E proprio in questo preludio di desolazione si affaccia lo spettro dell’inquinamento.

L'acqua un tempo limpida, dove trovavano ospitalità specie differenti di pesci diventa deposito degli scarichi industriali; l'odore di iodio, dei gelsomini e della flora che "sorveglia" Marina, divengono un miraggio sostituiti da emissioni maleodoranti che rendono l'aria irrespirabile.

Tutto intorno, solo case spoglie e diroccate fra la polvere.

Uno scempio, a cui assistono i pochi cittadini rimasti che lottano con barricate e blocchi stradali, appoggiati successivamente da Salvatore Gurreri, l’ultimo abitante di Marina.

Manovale, ex Uomo Qualunque, ex amministratore di una ditta fabbricatrice di forni, essiccatoi e macchine per pastifici che lì ha costruito casa con le proprie mani e lottato contro i soprusi su una terra assetata di umanità e giustizia.

I suoi esposti inviati alle alte cariche della Repubblica, alla Comunità Europea e persino al Papa, rimangono tutti senza risposta; e dopo aver subito numerose minacce, denunciate sempre con coraggio, verrà ritrovato senza vita all’età di 84 anni nel 1992.

Un brutale omicidio dalle opinioni divergenti: secondo alcuni a stampo mafioso e per altri a causa di un tentativo di rapina.

Oggi l’immagine di Salvatore, simbolo di resistenza, è impressa in un murales sulla facciata della sua casa diroccata, accompagnata dalle parole che ripeteva costantemente "Io resterò qui fino all’ultimo". Un monito soffiato dal vento nell’ex borgo fantasma che necessita ancora di bonifica.

Di Marina, dunque, rimane poco o nulla.

Le uniche testimonianze della spiaggia, tanto cara ai suoi abitanti, delle acque incontaminate e ammalianti le ritroviamo in alcune scene del film "I fidanzati" (1963) di Ermanno Olmi.

Una storia d'amore all'alba dell'industrializzazione, in un Sud ancora contadino.

Mentre, nel 2022 sono iniziate le riprese per il documentario Toxicily di Alfonso Pinto e Francois Xavier Destors, un progetto a quattro mani sull’arrivo delle raffinerie nell’Isola e sulla tutela ambientale.
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