MISTERI E LEGGENDE
C'è chi dice che a Palermo ci sia un vulcano: la storia del monte che sovrasta la città
Tutti lo guardano per sapere che tempo fa a Palermo, è una vetta carica di luoghi splendidi da esplorare e di dicerie che ne fanno un luogo ricco di fascino da scoprire
Monte Cuccio visto da Palermo
Chi di voi non ha mai sentito dire dai nonni o dalle persone anziane: «Se un giorno monte Cuccio dovesse risvegliarsi, moriremo tutti! Anzi: facemu a fini ru surci» (faremo la fine del topo).
Sarà perché ha la forma conica tipica di un vulcano, sarà che noi palermitani non permettiamo che soltanto Catania abbia il vulcano, fatto sta che questa leggenda è tramandata da secoli. Non sono solo gli anziani che raccontano questa storia, ancora oggi molti Palermitani ipotizzano e paventano scenari disastrosi nell’eventualità di una possibile “riattivazione del presunto vulcano spento”.
Nella loro personale convinzione, in tempi passati, monte Cuccio era davvero un vulcano e pare che abbia davvero eruttato, come l’Etna. Probabilmente è la presenza del vicino monte Petroso ad alimentare questa leggenda. Questo piccolo rilievo roccioso, infatti, ha una struttura rocciosa che ricorda le colate vulcaniche oppure perchè all’interno del monte Cuccio si trovano alcuni piccoli laghi carsici esplorabili, per l’esattezza si trovano nella zona della cima inferiore del versante denominato “Falconara”.
Giuseppe Pitrè, nel suo “Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani”, lo citò come luogo in cui era sotterrato una trovatura (un tesoro):
«Per disincantare questo tesoro bisognava trovare “un pani di tri anni caudu“ (un pane di tre anni caldo). Una volta un uomo che abitava a Villagrazia, volle prendere questo tesoro ed incominciò a fantasticare per sciogliere questo indovinello. Egli, dunque, fece fare un pane e dopo tre anni lo fece riscaldare alle falde del monte, salì alla sommità di esso, pregò più volte ma non vide nulla. La notte seguente, sceso, si addormentò in una stalla di campagna e sognò che i “tri anni“ non significavano tre anni di tempo ma tre donne di nome Anna (nda. tri Anni = tre Anne). Esse dovevano fare un pane ciascuno e questi tre pani caldi e fumanti dovevano spezzarsi sopra il luogo del tesoro.
Il giorno seguente, verso mezzogiorno, ordinò il pane, all’alba del giorno appresso fu in cima al monte, ruppe il primo pane e tosto si trovò confuso e costernato, ruppe il secondo e sentì un gran vento, quando ruppe il terzo gli sembrò che si sollevasse una striscia di terra. Qui prese a scavare e vide una moneta di rame, e dalla contentezza gridò: L’hajiu truvatu! (nda. l’ho trovato).
Sopravvenne un vento impetuoso che lo buttò per terra. Rialzatosi, diè piglio alla zappa, scavò e scavò e trovò finalmente 2 o 3 mila onze in oro, argento e rame. Tornato a casa, non disse nulla ma si confessò e cominciò a fare stretta economia e per una settimana non parlò. Venne una pestilenza ed egli temendo di morire, svelò il segreto ai figli, e la notte fu sentito un gran rumore nella cassa e fu trovato il rame arrugginito che fu venduto per pochi tarì ed un carlino (nda. 21 centesimi). Il parroco poi tolse la scomunica al vecchio e gli diede l’assoluzione».
Il monte Cuccio ha un aspetto fiero ed elegante, è tra i monti che circondano Palermo, quello che sta più a cuore ai palermitani. Essi osservano la sua cima con rispetto ed ammirazione. La sua inconfondibile sagoma è il primo segnale che, in autostrada, conforta quando ci si appresta a rientrare in città e sembra esorti a resistere ancora un poco, quasi a dire: «coraggio, sei già arrivato a casa». Nei giorni freddi, il palermitano non osserva il barometro. Appena esce da casa, osserva la sua inconfondibile cima: se è avvolta dalla nebbia, diventa malinconico. Raramente, monte Cuccio è ricoperto di neve. In questo caso, allora, se ne compiace.
Ogni tanto, però, il Monte Cuccio “fuma” veramente. Succede durante la stagione estiva, purtroppo qualcuno incendia la sua vegetazione.
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