LE STORIE DI IERI
Padre Giovanni Messina abusivo di Dio
Padre Giovani Messina, in tutta la provincia di Palermo lo chiamarono “il pazzo di Dio” ma anche “l’abusivo di Dio”. Per molte buone ragioni. Perché se egli meritò il primo appellativo per avere intensamente e con sofferenza amato l’Onnipotente tramite il bene che fece ai suoi bambini poveri, il secondo se lo procurò per via di quello stesso travolgente amore che non gli fece tenere conto di precise norme edificatorie. Ciò che, con serie eccezioni, la gran massa di chi lo conobbe gli perdonò non solo in base all’ “omnia munda mundis” di manzoniana memoria. Ma anche per le stesse virtù eroiche che infine lo hanno reso “servo di Dio” al termine del suo processo canonico, concluso nel 1991 e che ha consentito il passaggio degli atti relativi alla Congregazione Vaticana per le Cause dei Santi.
D’altra parte il buon prete della nostra “storia” – cui va tutta la laica simpatia di chi scrive – è già da anni considerato un santo sia alla Kalsa, il quartiere dove egli nacque nel 1871, che nella borgata di Sant’Erasmo, dove nel settembre del 1901 inaugurò la sua Casa di Lavoro e Preghiera. Un monumentale edificio nel quale Giovanni Messina trasformò di sua iniziativa un preesistente “astrachello” marino dove uno scomparso nobile palermitano trascorreva l’estate con la famiglia. E certo la sua opera creativa, nel complesso, fu spesso disordinata e quasi caotica sotto la spinta di un incontenibile fervore di dare, dal quale trassero beneficio centinaia di bambini orfani e abbandonati cui egli assicurò, oltre al vitto e ad un tetto, l’istruzione che li avrebbe trasformati in abili operai. Quanto poi alla venerazione ottenuta dai palermitani, se la procurò anche tirandosi appresso – e lo fece per tantissimi anni – un carrettino “a mano” sul quale caricava viveri, vestiti e quanto altro la generosità della città offriva ai suoi ragazzi.
E mentre su padre Messina fiorirono aneddoti gustosi che qualcuno ha poi raccolto assimilandoli, addirittura, ai Fioretti di San Francesco, adesso non manca nemmeno il ricordo di miracoli ben documentati. Per tutti, valga il caso della bomba d’aereo di vari quintali che, nel ’43, dopo avere perforato il tetto del refettorio dove don Giovanni pranzava con un centinaio di bambini, si fermò al piano di sotto senza esplodere e senza ferire alcuno. Dicono che poi il cuore, nel 1949, non gli resse davanti alla seria eventualità che il Comune potesse abbattergli la “Casa”. Sicuramente abusiva. Ma che forse ha contribuito ad evitare ben più selvagge e basse speculazioni edilizie.
In ogni caso, continuando a figurare tanto civilmente al confronto dei palazzi fatiscenti e dalle occhiaie murate che lo fronteggiano dall’altra parte della piccola insenatura. E favorendo altresì, per la parte che lo riguarda, il persistere senza stravolgimenti del porticello dei vecchi pescatori di Sant’Erasmo. Ora certamente meritevole e bisognoso di cure. Ma al quale temiamo si voglia infine attentare, per trasformarlo in un attracco turistico che non sappia più dirci niente di quanto resta del retroterra circostante. Tanto caro a Padre Messina che continuò sempre a chiamarlo affettuosamente “la mia Africa”.
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