LE STORIE DI IERI

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La storica <i>servitus</i> che non serve più a nessuno

  • 20 novembre 2005

A piazza Indipendenza (Palermo) c’è come una gran finestra di pietra che s’apre nella fitta cortina edilizia che da Porta Nuova sale fino alla Rocca di Mezzomonreale. Ad alcuni dà l’impressione di non essere altro che uno degli squarci aperti nel tessuto urbano dalle bombe dell’ultima guerra. Ma la verità di fondo è ben diversa. Perché, invece di testimoniare dell’ umana barbarie, quel varco – ora malamente occultato da una lunghissima bancarella piena di paccottiglia cinese – è un esempio di civica sensibilità d’altri tempi. Testimonianza d’un patto di concordia non più attuale, decaduto come il latino che nei manuali di diritto privato lo individua con un ostico: “Servitus altius non tollendi”. Insomma, quella gran “finestra” non è altro che la stessa dalla quale per merito del nostro municipio poteva affacciarsi ogni palermitano del 1872, per ammirare uno dei panorami più belli della Città. Una distesa di coltivazioni verdi e ben curate che seguitavano a perdita d‘occhio sulla depressione del Papireto e di Danisinni per fondersi infine con le montagne e il mare di Sferracavallo. Oltre la sella che la natura aveva aperto tra le colline ora sfregiate dall’abusivismo. Era successo infatti che il sindaco dell’epoca – l’illuminato Domenico Peranni di cui alla malandata omonima piazza - colpito dalla bellezza di quel panorama aveva stipulato un patto piuttosto oneroso con i coniugi proprietari del terreno edificabile sottostante. Per intenderci quello nel quale ora si apre un certo cortile Criscione che, come l’infame “Cascino” di mezzo secolo fa, tornerebbe a impressionare parecchio un redivivo Danilo Dolci. Ciò perché non resta traccia della magnifica vista che l’antico primo cittadino cercò di non far venire meno ai palermitani, offrendo appunto ai citati possidenti parecchio denaro al fine che si obbligassero a non sopraelevare, o quanto meno a non costruire abitazioni che superassero il livello della attuale spalletta del marciapiede che frana lentamente nel citato slargo sterrato.

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Centinaia di metri quadrati che quando non sono coperti dai rifiuti s’intasano delle automobili che poi ripartono verso il caos dell’incrocio di via colonna Rotta con Corso Alberto Amedeo. Succede così che chiunque voglia ora affacciarsi a quella finestra, oltre che della desolazione di un cortile circondato da ruderi nemmeno tanto bassi, e spogliati pure dei serramenti, può solo “godere” della vista del grigio tunnel coperto della linea ferroviaria per Trapani. Fiancheggiato – altrettanto a perdita d’occhio e fino al mare che non si vede più - dal tappeto di deformi palazzi accatastati alla rinfusa, e che la lontana mole del Teatro Massimo e la supermoderna gobba di cristallo della nuova Pretura non riescono più ad ingentilire. Monumenti peraltro faticosamente avvistabili nella caligine di smog che intossica ugualmente la retrostante piazza Indipendenza. Patriottica rotatoria che non avrebbe proprio bisogno d’altri veleni, stretta come è tra Palazzo D’Orleans e lo sfacelo della facciata posteriore di Palazzo dei Normanni. Dove i turisti fanno tuttavia la fila per visitare la Cappella Palatina che ora è in restauro per la munificenza di un industriale tedesco. Per inciso, un restauro sul quale le solite male lingue straparlano. Nel senso che, secondo qualcuno, il magnate tedesco avrebbe stabilito che il conto dei lavori lui l’avrebbe pagato davvero, ma solo a consegna dell’opera finita. Per cui il denaro necessario lo starebbe anticipando la Regione. Non sappiamo se e quanto ciò possa essere vero. Ma se così fosse, non è escluso che la prudente decisione del nordico mecenate possa essere stata influenzata, tra l’altro, anche dal solito “palermitanista” deluso che potrebbe avergli raccontato degli attuali esiti della vicina ed egualmente costosa servitus. Che abbiamo appena ricordata con tutto il rammarico possibile e che adesso non serve più proprio a nessuno.

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