LE STORIE DI IERI

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La notte magica dell’Ascensione

  • 31 ottobre 2004

I petali delle rose che per tutta la notte magica dell'Ascensione erano rimasti nell'acqua di una ciotola, sui balco-ni, si conservavano devotamente per usarli contro i mali futuri dell’anno seguente. Ma c'era anche chi li mangia-va. Come ostie consacrate di fattura casalinga. Né, un tempo, era da buttar via l'acqua nella quale i petali erano stati tenuti. Perché, come spiegavano le nostre nonne nate nell'Ottocento, essa aveva materializzato in sé il ricor-do del volo di Gesù che dal colle degli Ulivi, quaranta giorni dopo la resurrezione, saliva a prendere il suo posto accanto al Padre. Ovviamente capitava pure che dalle pagine di Pitrè o dalla voce di insegnanti mitici, si appren-desse tutto il resto sulla magia di quella notte. Della “notte della Sceusa”, come era meglio nota cento e più anni fa. Quando i palermitani assistevano, principalmente dall'attuale Foro Italico, ad uno spettacolo straordinario. Quello di un lontano rito collettivo, propiziatorio e di guarigione, che alla luce delle torce era fatto essenzialmen-te da rischiose "entrate" in mare d'animali e cristiani. Accompagnate da belati, ragli e muggiti oltre che da canti, preghiere e fervide invocazioni al Cielo. Cerimonia anche rumorosa, perciò, della quale erano in tanti a farsi pro-tagonisti. Ma dalla quale erano certo assai di meno quelli che uscivano mondati dalla rogna, dalla scrofola o da tutta una congerie di herpes e infermità per lo più dermatologiche.

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Né però, secondo la devota credulità di sofferenti poveri ma anche benestanti, quella notte si poteva guarire sol-tanto di simili malanni. Scrisse Giuseppe Pitrè: «E a mezzanotte cominciano i malati di gozzo ad addentare la corteccia del pesco nella buona persuasione che l'atto valga a fare sparire l'ingorgo ghiandolare. Secondo la credenza, al pesco verrebbe inoculato il malo umore, il cattivo sangue del malato; e così mentre questo si depu-ra l'albero avvizzisce fino a inaridire affatto. Quando l'albero non secca, il gozzo resterà per sempre.» E il no-stro demopsicologo, malgrado il profondo affetto per la gente semplice che gli forniva gradita materia di studio, più d'una volta commentò con gentile ironia i casi del genere meno fortunati. Quando le immersioni nelle fredde onde notturne della sua genterella risultavano, a lui che era medico, solo devote abluzioni che avevano come ef-fetti indesiderati l'accentuarsi di artriti, di reumatismi e lo sviluppo d'affezioni polmonari latenti.

Quanto poi ai bagni marini volti a proteggere la salute di pecore, capre, mucche e somari, quella della Sceusa era anche una notte d'allegro frastuono. Immancabilmente, infatti, gli animali "avviati" alla marina avevano al collo fragorosi campanacci al cui strepito potevano aggiungersi le musiche di intere bande che dai paesi del circonda-rio accompagnavano bestie e pastori. E poiché era essenzialmente l'acqua il tramite che portava a Dio i desideri e le speranze della nostra brava gente, erano le pigre correnti del Belice, del Platani,dello Jato,linfe vitali per ani-mali e cristiani, che nell'interno dell’Isola avevano lo stesso effetto dell’acqua del mare. Che, naturalmente, a mezzanotte e per qualche minuto non mancava di diventare anch'essa dolce.

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