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Altro che vacanze, "chistu è maluchiffari": quando in Sicilia le ferie erano cose da ricchi

Ai tempi dei nostri nonni era inconcepibile l’idea di lasciare il lavoro per andare a fare niente in un altro posto e spendere soldi per cose non necessarie

Giovanna Caccialupi
Perito chimico industriale
  • 7 agosto 2024

Mio nonno non ha mai compreso il senso delle ferie, delle vacanze. Al massimo le paragonava alla licenza militare per poter andare a trovare i familiari lontani.

Per lui era inconcepibile l’idea di lasciare il lavoro per andare a fare niente in un altro posto e spendere per cose non necessarie.

Cu tuttu chiddu ca c’è di fari…
i nimali e l’ortu non si ponu lassari..
pedi ca caminò, bona nova no ni puttò..
e poi senza fari nenti mi siddiassi…
a mari sutta u suli e senza robbi ‘ncoddu….


Pur vivendo vicino ad una nota località turistica, tanto cara a Goethe, era una realtà piuttosto lontana, incomprensibile: gli alberghi di lusso, le stramberie dei turisti, magari raccontate da qualcuno che aveva lavorato in albergo.

L’incredibile generosità delle mance. Vacanze, viaggiare senza necessità, solo per diletto: erano solo cose da ricchi.

Per noi ragazzi, dopo la scuola, d’estate si andava ad imparare un mestiere: i maschi andavano “o mastru” e le femmine “a maistra” .
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Nel nostro piccolo centro, gli emigranti che tornavano per le ferie, hanno un po' introdotto il concetto del riposo dopo un anno di lavoro. L’idea di staccare e concedersi un momento da dedicare alle vacanze e alla famiglia.

Il rientro per molti, allora come oggi, significava anche ostentare il benessere raggiunto, con nuove abitudini, tra le quali, passare la mattinata al mare per abbronzarsi, così, anche esibire una bella ustione solare, suscitava invidie.

Molti ragazzi ,vedendo i compagni, i cuginetti che andavano al mare con costumini colorati, secchielli e palette, cominciarono a chiedere ai genitori di andar a mare.
- O Mamà, macari jo vogghiu jri a mari..
- Macari jo mi vogghiu ''bbrunzari…


Con grande disperazione dei genitori:
- Chisti,ogni annu ca venunu, pottunu na nuvità…
- L’annu passatu, vinninu ca nuvità du frappè, cu ghiacciu macinatu…. ora u mari….videmu chi pottunu l’annu vinturu…
- Cummari ma ta ccridiri, aiu u ‘nfennu ‘ncasa, i picciriddi mi cianciunu ca vonu jri a mari…e me maritu non ci voli mannari…
- Chi anu a fari a mari… non sanu mancu natari…si ponnu macari ‘nniari…
- Viiii, chi mala tantazioni..
- Chistu è maluchiffari…
- Masculi e fimmini, quasi a nuda…..cu sti costumi ca non cummogghiunu nenti….
- U munnu si sta piddennu….


Le ultime resistenze crollarono quando, il nostro medico, prescrivendo ai bimbi affetti di tonsillite aria di mare per almeno dieci giorni, obbligò tanti genitori a portare a mare i figli.
- Macari u medicu, dici ca u mari fa beni…

Ricordo lo zio Pantaleo, che caricava sul cassone della "lapa" i cinque figli e i tre nipoti, e insieme alla moglie, vestiti di tutto punto, per qualche ora sotto il sole a picco, inseguivano urlando i piccoli scatenati:
- non vi lluntanati! Annunca u mari vi tira!
- Bagnativi sulu i pedi, cca vicinu…
- Non sapiti natari!


Tornavano a casa esausti, maledicendo il medico:
- ma chi spacchiu di cura è, sudari sutta u suli …
- sugnu stancu mottu senza travagghiari...


Anche se stanco, poi doveva recuperare il tempo "perso" a mare per curare i bambini.

All’inizio solo ai maschietti fu concesso di aggregarsi ai gruppi che andavano al mare.

Poi, solo per "cura", anche le ragazze, ma sempre accompagnate da una parente adulta (vestita normale) e il costume rigorosamente intero, per niente sgambato e con una gonnellina che copriva la zona inguinale.

Di anno in anno, andare al mare diventò quasi uno status symbol. Anche dai paesi più montani.

E chi non aveva la macchina prendeva il pullman, la mattina presto, con ombrelloni, sedie e fagotti pieni di vettovaglie.
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