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A Palermo il team che smaschera il tumore "camaleonte": il nuovo studio di Unipa

I risultati ottenuti sono un passo avanti nella cura contro il cancro e offrono nuove speranze per i pazienti affetti da questa malattia: ecco tutti i dettagli sullo studio

Alice Marchese
Giornalista
  • 9 aprile 2025

Studio contro il cancro al colon-retto

Un tassello che apre nuove prospettive terapeutiche: è questo l'obiettivo del recente studio sulla lotta al cancro al colon-retto condotto dall'Università degli Studi di Palermo pubblicato sulla rivista Molecular Cancer (Nature press).

Questa ricerca si basa sulla strategia più efficace per contrastare questa tipologia di tumore, una delle principali cause di morte nei paesi occidentali e che si posiziona al secondo posto dopo il tumore del polmone negli uomini e quello della mammella nelle donne.

In Italia, la probabilità di sviluppare questa forma tumorale nel corso della vita supera il 5% per gli uomini e il 3% per le donne, rappresentando oltre il 12% di tutte le diagnosi oncologiche.

Sebbene i progressi nella diagnosi precoce e nelle terapie, il tasso di mortalità rimane significativo e si classifica al 35%.

Secondo lo studio condotto, l'enzima SETD8 risulta il responsabile della "disattivazione" della proteina p53, barriera naturale ed essenziale contro la crescita tumorale: «La proteina p53 è il "guardiano del genoma" - ci racconta la professoressa Matilde Todaro del Dipartimento PROMISE di Unipa -.

Se p53 è alterato, consequenzialmente non protegge più le cellule ed è un grosso problema. Molti tumori sono aggressivi perché portano mutazioni e quando si riconoscono, si determina una terapia specifica ed efficace per quel caso clinico.

Ma a volte la mutazione non si manifesta.

Tutto questo perché si verifica la "mutazione epigenetica" - precisa la professoressa Todaro -. Questo fenomeno si riferisce a modifiche chimiche che avvengono nel Dna o nelle proteine che lo circondano, che influenzano l'espressione dei geni senza alterare la sequenza del Dna stesso.

La mutazione, in questo caso più grave, si comporta come una sorta di camaleonte, infatti si definisce "mascherata", perché pur non manifestandosi, c'è. Molti pazienti possono avere il p53 non mutato, ma in realtà hanno il tumore in metastasi e troppo poco tempo per contrastarlo.

Per questo motivo sono difficili da individuare perché non comportano un cambiamento nella sequenza del Dna, ma piuttosto modificano l'attività dei geni che non sono visibili attraverso i normali test genetici che cercano mutazioni nella sequenza del Dna.

Un errore è quello di somministrare piani terapeutici sbagliati.

Quando si hanno questo tipo di mutazioni, l'immunoterapia potrebbe essere la migliore perché stimola il sistema immunitario a combattere le cellule tumorali».

Insieme a lei c'è la professoressa della Sapienza di Roma Veronica Veschi che ha impreziosito la ricerca: «La scoperta apre nuove prospettive terapeutiche: riattivare la proteina p53 potrebbe rappresentare una strategia efficace per bloccare la crescita tumorale.

Inoltre, lo studio suggerisce che nuovi farmaci mirati contro questo meccanismo potrebbero essere utilizzati da soli o in combinazione con le terapie esistenti, migliorando così le possibilità di cura non solo per il tumore del colon-retto ma anche per altre neoplasie legate all’infiammazione», dichiarano insieme Veronica Veschi e Matilde Todaro.

«Abbiamo visto che questa mutazione epigenetica è presente nella massa tumorale, nell'infiltrato. Questi macrofagi (cellule del sistema immunitario che distruggono gli agenti patogeni, ndr) hanno dato l'input - precisa Matilde Todaro -.

Bisogna fare attenzione a questa sottoclasse di mutazioni epigenetiche perché il tumore può non essere responsivo al trattamento. Noi possiamo predisporre il funzionamento o meno di cure e a livello terapeutico, si potrebbe evitare la chemio, ma dipende dalle tipologie di tumore e infiltrato.

La chemioterapia si potrebbe somministrare magari come adiuvante (sostanza che aiuta o rafforza un'altra sostanza in ambito farmacologico e immunologico, ndr).

L'obiettivo è comunque quelllo di dare la prospettiva di un piano terapeutico più personalizzato e quindi mirato».

Questa importante ricerca è stata realizzata grazie al contributo dell’AIRC e ai finanziamenti del PNRR per la Medicina di Precisione, coinvolgendo un team multidisciplinare di esperti italiani e internazionali.

I risultati ottenuti rappresentano un passo avanti nella comprensione dei meccanismi molecolari alla base del cancro e offrono nuove speranze per i pazienti affetti da questa malattia.
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