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Non è solo business: il Palermo Calcio può unire generazioni e scrivere la storia

Quanto avvenuto sulla vicenda del Palermo calcio è forse l’apoteosi di un disamore che la nostra terra subisce ogni volta che si affida a un "papa" esterno per essere salvata

Giovanni Callea
Esperto di marketing territoriale e sviluppo culturale
  • 4 luglio 2019

Quanto avvenuto sulla vicenda del Palermo calcio è forse l’apoteosi di un disamore che la nostra terra subisce ogni volta che si affida a un "papa" esterno per essere salvata.

Vale per tutto e vale anche per il calcio.

Questo insegna la parabola di Zamparini, che ha preso tanto, ha dato anche qualcosa, ma che non sta lasciando nulla se non tanta amarezza e delusione.

Questo insegna l’epilogo della vicenda Arkus, che sembrerebbe ancora una volta un bluff speculativo peraltro talmente mal congegnato da avere avuto una vita brevissima.

Palermo è la quinta città d’Italia, ci piace ripetercelo per sentirci importanti, ma nella realtà è una delle ultime per tutto, per i servizi, per la pulizia, per la qualità della vita. E, non me ne vogliano gli imprenditori di successo, anche per base imprenditoriale.

Solo una città senza una classe imprenditoriale avrebbe potuto lasciare il destino del Palermo Calcio in questi anni in balia dell’avventuriero di turno, che con tutta la simpatia che può avere per noi e per la nostra terra guarda, direi anche legittimanente, solo agli affari suoi.
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Si è mosso Dario Mirri, occorre rendergliene atto. Serve che si attivino anche gli altri, mi vengono in mente tra gli altri Dragotto e Murania, le cui imprese hanno rappresentano modelli di peso nella nostra città e non solo.

Il Barcellona, una delle squadre di calcio più forti ed affascinanti del mondo, con i suoi oltre 200mila soci, è anche soprattutto un simbolo positivo della sua terra e per la sua terra. Si è assunta l’onore politico di essere il vessillo dell’identità della catalogna, e ne è certo diventato un importante alfiere nel mondo.

Io credo che oggi vi sia una grande opportunità offerta da questo disastro. Un grande albero nasce da un piccolo seme, messo nel giusto terreno di coltura, curato con amore e pazienza, potrà mettere radici proprie e profonde.

L’opportunità è quella di ripartire da zero e con calma. Con un progetto che guardi alla città prima ancora che al calcio. Perché nel nostro tempo il calcio è comunque una forte rappresentazione identitaria di una città.

Io immagino un percorso che veda aggregare le forse positive e propulsive della città. Ci vogliono gli imprenditori, oltre che per le risorse anche per le competenze di gestione, ma sono necessari i cittadini, e la cosiddetta società civile. Che possano partecipare attivamente alla vita della squadra di calcio, che può essere, ne sono convinto, un luogo di aggregazione bello e trasparente trasversale ai ceti sociali ed alle appartenenze politiche.

Ripartire insieme dalla D o da dove sarà necessario, in un progetto senza fretta che metta radici, e che possa restituire a tutti la gioia di partecipare. Ricordiamolo che in questo momento acquistare il Palermo in D è un grande affare, perché la società con il suo patrimonio di tifosi ha un valore altissimo nelle serie maggiori. Se riusciamo a contenere le voglie speculative di chiunque si avvicini al Palermo, potremo provare a dare vita a qualcosa di fortemente condiviso ed emozionante, che coinvolga la città e che sia costruito sulla passione antica che si tramanda da padre in figlio.

E penso che mio figlio sarà felice di vedere ri-nascere la sua squadra da una serie minore se attorno vivrà l’entusiasmo e la gioia del progetto. Sarà anche un modo per insegnare ai ragazzi la grande sfida dello sport: rialzarsi quando sei a terra e ricominciare.

Credo che potremmo immaginare regole a tutela della nostra squadra, come la compartecipazione al capitale da parte dei tifosi, ed una quota massima per ciascun socio, come avviene in Spagna e Germania, in modo da evitare che un patrimonio collettivo possa diventare strumento che appartiene ad uno solo. Ma soprattutto ci saremo attivati facendo squadra come città, oltre l’individualismo che ci contraddistingue e che è la nostra vera condanna.

Io credo che il sindaco, che gestisce la concessione dello stadio possa avere un ruolo importante nel favorire un progetto sportivo, e credo anche che dovrebbe muoversi la politica tutta (ovviamente quella con la P maiuscola) e la società civile.

Il Palermo calcio non è solo business, è soprattutto un filo rosso che unisce generazioni nel tempo e classi sociali nel presente.

Serve per una volta un progetto che riguardi la città e che guardi oltre il prossimo campionato, o le ambizioni legittime di una città che si sente da serie A e che sinceramente non lo è.

Lasciatemelo scrivere con una punta di presunzione e di ottimismo. Piuttosto che dire che non siamo una città da serie A preferisco scrivere che non lo siamo stati e non lo siamo ancora. Occorre capire se qui ed oggi esiste abbastanza determinazione e coraggio in tutti noi per accorciare questa distanza tra ciò che siamo e le nostre ambizioni.
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