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Il problema non è il ponte sullo Stretto ma noi: siciliani che non sappiamo protestare

Se fossimo francesi forse sapremmo indossare un gilet per difendere noi stessi. Ma siamo siciliani: tronfi d'orgoglio del nostro sole, del nostro mare e dei nostri cannoli

  • 4 marzo 2019

Uno dei tanti rendering che mostrano come sarebbe il Ponte sullo Stretto

Sottotitolo: viene prima il ponte o la gallina? La distanza tra le principali città dell’isola Palermo e Catania, di circa 200 km, si percorre in treno in 3 ore. La distanza è la stessa che c'è tra Milano e Bologna, ma per percorrere questa basta una sola ora.

Tra Trapani e Siracusa ci sono 339 km. Più o meno quanto tra Milano e Firenze. Nel primo caso sono necessarie 11 ore, contro 1 ora e 40 minuti.

Manco a dirlo anche la viabilità è un colabrodo. Lo sa bene chiunque viva nell’entroterra. Ma se la situazione delle strade provinciali è drammatica, non stanno meglio le principali arterie regionali.

Nel 2015 il crollo del viadotto Imera sull'autostrada Palermo - Catania, ancora in fase di ricostruzione. Nel 2013 quello del ponte Verdura sulla statale 115 alle porte di Ribera.

Il viadotto Morandi, sulla direttrice Agrigento - Porto Empedocle, è stato invece chiuso nel 2015 e dopo la riapertura del 2017 è stato chiuso nuovamente nel 2018.
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Il viadotto Scorciavacche Palermo - Agrigento fu chiuso per crollo nel 2014, dopo sei giorni dall’inaugurazione.

L’elenco potrebbe continuare, parallelamente all’elenco di comuni isolati e difficilmente raggiungibili.

Le strade ed i collegamenti sono le infrastrutture di base. Servono per qualunque tipologia di sviluppo economico. Sia quello legato all’agricoltura: i prodotti agricoli devono raggiungere i mercati. Sia quello del turismo: il turista deve potersi spostare con standard accettabili.

Quando sento i politici dire che potremmo vivere di turismo ed agricoltura mi viene voglia di gridargli nelle orecchie per svegliarli.

La situazione della connettività aerea non è migliore, se teniamo conto che la domanda potenziale ad oggi per la Sicilia è di 20 milioni di passeggeri, mentre superiamo di poco i 15 milioni, per tacere della drammatica situazione di Trapani-Birgi che da faro per l’estremo ovest con quasi due milioni di passeggeri è ormai lo spettro di un aeroporto con meno di 300 mila passeggeri, e soprattutto con nessuna reale ipotesi di rilancio.

In tutto questo si parla in questi giorni di ponte sullo Stretto di Messina. Preciso subito. Io sono favorevole al ponte. Anzi, non sono favorevole al ponte.

Nei giorni scorsi ho scritto del ponte sulla mia pagina Facebook e come ogni questione in Italia è partito il tifo da stadio. Pro e contro a prescindere da una riflessione sull’argomento, ma soprattutto a prescindere da un progetto ed una visione di futuro.

Si è pro o contro, come ormai su tutto, a partire dai presupposti ideologici di appartenenza.

Il ponte non è alternativo all’aereo, la scelta se costruirlo o meno dipende da quale futuro immaginiamo per la nostra terra. In che modo riteniamo si debba dialogare con le economie europee e mondiali.

Le infrastrutture sono necessarie, e questo a prescindere dai dubbi che possiamo avere sulla capacità di realizzarle o di difenderle dal malaffare.

Il trasporto su gomma per le merci in Europa al momento non può essere sostituito con quello aereo, per motivi di costi e di infrastrutture. Esistono le vie del mare, bene riflettiamo ed analizziamo se e come possono essere alternative al ponte.

Capiamo in che direzione andrà l’Europa e da lì decidiamo il meglio per la Sicilia. Il dato è che la distanza dei nostri produttori dai mercati centro europei è fortemente appesantita da questa interruzione sul cosiddetto Corridoio 1 (quello che nella viabilità europea collega Palermo a Berlino), circostanza che incide notevolmente sui costi e sulla competitività del nostro sistema.

Il ponte non ha senso senza le strade interne. Le strade servono ma sono fortemente potenziate dal ponte, o comunque ad un sistema di connettività con il resto d’Europa.

Il dibattito è surreale, perché in questo continuo arrotarsi se venga prima l’uovo o la gallina, non si fanno né strade né ponti, si abbandonano gli aeroporti, i treni restano incommentabili, e le infrastrutture del mare non sono in agenda.

A detta di taluni il punto è che in Sicilia non c’è una economia che giustificherebbe l’investimento. Come dire che possiamo fare a meno della strada che porta a Contessa Entellina o di quella che porta a San Mauro Castelverde, visto le risibili economie che questi luoghi rappresentano.

E se le economie fossero, come sono, vincolate alle infrastrutture? Allora forse la riflessione va invertita: senza infrastrutture non si genera economia.

La questione non è il ponte, è bene essere chiari. La questione è il degrado culturale che ci impedisce di dare forma ad un progetto per il futuro della Sicilia, e scaraventa il dibattito in sterile polemica tra favorevoli e contrari, senza analisi critica né riflessioni di sorta. Drammaticamente senza una visione d’insieme che faccia da timone.

E mentre questo accade il mondo viaggia rapidamente lontano da noi. Io non so se il ponte va realizzato o meno. E la risposta a questa domanda, al di là della sicumera di tanti commentatori, non può averla nessuno.

La risposta sta nel disegno di progetto futuro per la Sicilia. Quello che lamento, in altre parole, è l’assenza di una visione d’insieme che riguardi la Sicilia e dentro questa un pensiero sulla mobilità e sulla connettività generale del sistema economico siciliano.

Esiste un solo colpevole di questo degrado. Inutile prendersi in giro. Siamo noi siciliani, con la nostra cronica incapacità di affrontare in modo riflessivo la questione futuro.

D’altro canto siamo pur sempre il popolo senza il futuro nei tempi verbali, qualche cosa vorrà pur significare. Certo, se fossimo francesi la musica sarebbe un’altra, forse sapremmo imbracciare un gilet per difendere noi stessi.

Ma siamo siciliani. Tronfi dell’orgoglio del nostro sole, del nostro mare e dei nostri cannoli.
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