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La Santa e il fiore: un "futti futti" tutto alla palermitana
La Santuzza "appizza" il suo fiore d'argento: il Comune espone una denuncia contro ignoti, ma quello che resta è l'effige deturpata della Santa patrona di Palermo
Mischina la Santuzza, che si mise sulle spalle una responsabilità eterna: quella di proteggere una città ingrata. Ché a proteggere i Palermitani non si ottiene niente, e lo sanno bene coloro che ci provano: lei ci ha appizzato un dito e un fiore d'argento.
Passa il 14 di luglio, con le luminarie e i babbaluci, con gli spettacoli e la musica. Passano le acchianate del 4 settembre, con file di devoti che sui gradini salgono pure in ginocchio. Passano i gesti palesi di devozione, e quello che resta è un'effige deturpata.
Il fiore le hanno scippato: era povera quella statua, come la Santa in vita, fatta eccezione per un crocifisso d'ottone e per quei petali d'argento, che le sono stati strappati senza se e senza ma, persino insieme ad un dito.
Eppure per i palermitani Santa Rosalia è la patrona. Santa Rosalia è quella che ci guarda da Monte Pellegrino con occhio vigile e amorevole, il cui santuario è riempito di ex voto e di richieste appallottolate e infilate tra le mura.
Il furto, commesso da ignoti (perché si sa, solo la Santuzza vede tutto: ma lei non può parlare), è una pura ammissione di strafottenza e menefreghismo nei confronti del luogo dove viviamo: perché tanto l'anno prossimo la statua la cambiano, perché tanto a Palermo le cose funzionano così.
Futti futti, ca Dio perdona a tutti: e se perdona Dio, perdona pure la Santuzza, nonostante questa sia la dichiarazione palese della mancanza di rispetto nei confronti di una città che si dibatte ogni giorno tra mille problemi, la devastante accettazione che un problema in più non farà la differenza e che io a guardarmi il mio posso pensare.
La Santuzza, invece, continua a guardare i problemi di tutti, con espressione pietosa. E chi ha ancora un pizzico di fiducia la prega: Santa Rosalia, liberaci dal morbo della negligenza, dalla peste del menefreghismo. Perché se non ci riesci tu, non resta altro che scappare.
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