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Via Roma e quell'ingresso monumentale mai avuto: un capolavoro mancato per Palermo

Presto una mostra tematica potrebbe contribuire a far ancora più luce sulla bellezza esemplare costruita dal dimenticato architetto nisseno Salvatore Cardella

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 13 settembre 2020

Prospettiva di Concorso (1922) propr. Archivio Cardella, Palermo

"E luce ha per confine".

È questo il motto con cui Salvatore Cardella (Caltanissetta 1896–Palermo 1973), architetto, artista, saggista e docente dell'ateneo palermitano, partecipa al concorso indetto nel 1922 per la progettazione dell’Imbocco Monumentale della via Roma a Palermo, a cui partecipano inoltre i fratelli Roberto e Giovan Battista Filippo jr Basile, Giuseppe Spatrisano e che vince quasi a mani basse l'ottimo Giuseppe Capitò, tutti comunque allievi della scuola Basiliana di Palermo.

Definito spesso dalla critica “barocchetto classicheggiante” il progetto vincitore realizzato ben dieci anni dopo la vittoria concorsuale con diverse soluzioni di alleggerimento, in special modo rispetto al mutato gusto Littorio nei confronti di un più austero sistema decorativo, si caratterizza per la rigidità compositiva di un sistema di impaginato dei prospetti dalla forte presenza monumentale ben distinto per mole e cromatismi dagli edifici circostanti.
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Un progetto interessante, ben ritmato, figlio di un momento storico assai fluido in cui il classicismo di matrice eclettica ben strutturato all'interno dei sistemi accademici littori imperanti a raggiera da Roma centro propulsivo culturale identitario, verso ogni porzione di periferia nazionale, volle e seppe imporre al “nuovo costruito” un linguaggio saldamente proiettato verso la radice comune di un “passato glorioso”, anziché proiettarsi con rigore visionario verso quel futuro intriso di fiducia nella tecnica e adeso a un nuovo modo di intendere i valori plastici dell'architettura, così come si presenta invece il progetto sepolto dalle sabbie del tempo presentato da Cardella e cassato da una giuria di eccellenze accademiche di tutto rispetto.

Arduino Colansanti critico esigente, Gustavo Giovannoni preside e fondatore della Scuola di Architettura di Roma, Antonio Zanca e Salvatore Caronia Roberti entrambi pilastri dell’establishment accademico palermitano poco inclini, più o meno tutti, a slanci in avanti rispetto ad un linguaggio da esaltare come ufficiale codice espressivo “nazionale” inderogabile.

Cardella invece avverte tensioni emotive avanguardistiche e va oltre codici espressivi già rodati. Immagina uno scorrere cadenzato e costante di portici al piano terra da cui si dipartono i due piani superiori stretti da volumi cantonali a sporgere rispetto al piano di gronda in piena lezione basiliana, in cui spiccano per posizione e altezza i due torrioni che sembrano spiccare il volo in posizione lievemente arretrata rispetto al filo strada.

Si respira a tratti un'aria medievaleggiante ma la misura stilistica più prossima al linguaggio adottato dal giovanissimo “Archist” nisseno, è di matrice neo-secessionista.

Recenti scoperte fatte in questi giorni presso il fondo dell'archivio Cardella, hanno messo in luce la straordinaria dimensione compositiva di questo progetto fortemente caratterizzato dalla grande misura artistica cardelliana frutto di un innato talento personale, affinato con la doppia laurea presso la Scuola di Applicazione per ingegneri e architetti e ancora presso la Regia Accademia di Belle Arti di Palermo, titoli entrambi conseguiti con estremo impegno e rapidità.

Se dagli schizzi ritrovati è possibile infatti analizzare finalmente con estremo rigore la genesi del processo creativo del grande architetto, il primo a tenere nel 1944 la cattedra di Composizione architettonica della prima facoltà di Architettura siciliana mentre gli angloamericani ancora combattono nel resto del paese, sono proprio i disegni per il “concorso” acquerellati con magistrale esecuzione, a restituire altresì l'evidenza della dimensione, ancora poco indagata, dell’artista capace di piegare la tecnica pittorica al messaggio dell'architettura strutturata intorno ad un rigoroso e autonomo pensiero teorico-filosofico innovativo e seducente.

La storia, sentiamo e risentiamo, non si fa con i "se" ma l'esercizio proiettivo di immaginazione, ha lo stesso diritto ad esistere delle configurazioni eseguite, almeno per la storia dell’arte.

E se il progetto di Cardella, allora ventiseienne assistente alla Cattedra di Elementi di Architettura e Disegno tenuta da Antonio Zanca, avesse vinto, oggi Palermo avrebbe un capolavoro di respiro europeo polimaterico e policromatico molto
vicino alle sperimentazioni secessioniste di Joseph Maria Olbrich e fortemente intriso da quello spirito poetico che seppe animare nel primo Novecento questo grande umanista, prestato all'architettura e all'arte, a cui finalmente si comincia a tributare il giusto riconoscimento di critica attraverso letture coerenti e in linea con lo straordinario e inedito materiale d'archivio.

Presto una mostra tematica potrebbe contribuire a far ancora più luce sulla bellezza esemplare costruita da Cardella, autore del Padiglione della Meccanica alla Fiera del Mediterraneo, della Casa Castro e della sopraelevazione del Palazzo Di Martino nel quartiere Libertà, del progetto originario del Banco di Sicilia di via Ruggero Settimo, di una porzione del quartiere INA Casa di via Notarbartolo.

Una mostra, primo tassello di un mosaico identitario appena disvelato al grande pubblico residente nella sua città d'adozione.
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