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Una storia da "Mille e una notte" ma in Sicilia: così un principe inventò la granita

Un racconto tra mito e realtà che ci racconta un appassionato di storia. Ecco come sarebbe arrivata qui una specialità tipica e molto famosa della nostra Isola

Giovanna Gebbia
Esperta di turismo relazionale
  • 5 settembre 2024

Granita di limone siciliana

Oggi che di acqua tanto si discute per la sua temibile mancanza che ci costringe a fare i conti con un uso smodato frutto di spreco e mancanza di attenzione verso questo bene vitale e prezioso, per stemperare l’argomento ci infiliamo tra le pieghe della storia che in Sicilia racconta di una ricetta diventata simbolo della nostra regione a sud del sud.

Tra leggenda, personaggi epici e curiosità la verità storica che accompagna una delle magiche alchimie gastronomiche in Sicilia racconta che da sempre sia stata un cibo prediletto dal potere refrigerante quanto piacevole: ovviamente stiamo parlando della granita.

Questa mescola tra acqua ghiacciata e succo di frutta, torva le sue origini nel primo medioevo quando gli arabi provenienti dai roventi deserti al di la del Mediterraneo, possedevano i segreti legati alla sapienza della conservazione dell’acqua e al suo uso tanto per lavoro quanto per diletto.

In un paese dove questo bene affiorante (ma ben nascosto nel sottosuolo) era così raro e prezioso, saperlo estrarre e utilizzare era vitale per poter sopravvivere, andando anche oltre trasformando in un vera e propria arte la capacità ingegneristica e architettonica, dalla quale nacquero i giardini del diletto organizzati con la frescura delle fontane, irrigazioni prolifiche e funzionali per orti e frutteti, fino ad addizionare il ghiaccio al succo del limone o dell’acqua di rose.
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Andiamo alla leggenda che tanto ci fa tornare ad un romanticismo perduto che racconta di principi a cavallo provenienti dalle terre lontane del medio oriente cavalcando sulle terre siciliane e attribuendo ad uno di questi addirittura la paternità (favoleggiata) della originaria prima granita in assoluto…che granita sicuramente non si chiamava.

A raccontarla è Calcedonio Scacciaferro di Campofelice di Roccella appassionato di storia, che ha trovato questa vicenda che si riferisce ad una realtà storica autentica: le antiche neviere siciliane. Sulle Madonie proprio le neviere - cavità e grotte naturali frutto dell’esteso fenomeno del carsismo sul territorio montano locale – custodivano la neve che diventava ghiaccio, restando ad una temperatura bassa costante, che ne permetteva comunque l’estrazione.

«Durante la dominazione araba Sembra che un certo principe Abdul nipote dell’emiro dei Kalbiti, nelle sue scorrerie sicule tra le montagne madonite scopri il ghiaccio nascosto portandone un poco con sé (come non è dato saperlo ma ci fidiamo) scendendo fino al mare nella zona dove oggi si trova l’odierna Campofelice di Roccella, una delle porte per la via delle Madonie.

Colto da una incredibile arsura per amplificare il potere dissetante dei limoni che in questa piana sulla costa crescevano abbondanti, ne prese alcuni e li spremette sul ghiaccio ottenendo così una sostanza di refrigerante ma anche saporita».

In questa storia che potrebbe benissimo stare dentro “Le mille e una notte” si incrocia la tradizione degli agrumeti di Campofelice noti per la loro importanza storica ed economica, quando questi giardini detti “Jardinu” non in senso floreale ma in senso agricolo, erano una risorsa affacciata sulla costa del Tirreno che dava da vivere ad una intera popolazione di origine contadina.

Una distesa chilometrica che abbracciava anche il paese di Lascari dove si stendevano filari di orti e di agrumeti coltivati ad arance e limoni, irrigati di pozzi che probabilmente furono proprio gli arabi a scavare intuendo l’abbondanza di acqua a ridosso del litorale marino. Calcedonio ci fa notare che che nel paese di Campofelice questa leggenda ha dato seguito ad una rievocazione storica estiva.

«Nel mese di agosto, il mese simbolo dell'estate la storia del principe Abdul, riprende vita con un corteo in costume che narra il fatto e coinvolge i residenti che interpretano i personaggi, gli spettatori e i turisti nelle spire della mitologia medievale che culmina nella degustazione del prodotto artigianale, la granita appunto».

In queste pieghe si infila la leggenda di questa ricetta, la cui radice da origine anche al più cremoso gelato, arrivata ai giorni nostri e immancabile gusto da assaporare per siciliani e turisti che ne fanno incetta.

Che queste siano le origini del famoso Sherbet più ampiamente più documentato nella tradizione araba? Lasciando questa tesi nel dubbio tra favola e mitologia il fondamento della verità storica non ha nulla a che vedere con aitanti principi, semmai con una esigenza pratica che divenne un faticoso mestiere tra quelli oggi scomparsi, ma rievocati per l’importanza sociale che ha avuto e durata fino agli inizi del secolo scorso.

I nivaroli che custodivano e prelevavano la neve raccolta sui monti delle Madonie come sui Nebrodi o i Peloritani, dentro le costruzioni in pietra erette sopra le grotte naturali e successivamente scavate artificiali, il cui utilizzo non era soltanto per produrre la granita ma per refrigerare quando non esistevano i frigoriferi. Storicamente gli arabi portarono quello che oggi chiamiamo ancora “lo sherbet” una bevanda con ghiaccio grattato e aromatizzato con estratti di frutta o acqua di rose, che i nobili consumavano in estate.
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