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Una prima tutta siciliana: la tragedia in musica per pupi e orchestra dedicata a Medusa

La storia del simbolo della nostra Trinacria. La fanciulla che, per capriccio degli dèi, fu trasformata nello spaventoso mostro che uccide con lo sguardo

Fotogramma dal Backstage di "Medusa" (2019), diretto da Chiara Andrich. Da sinistra Tania Giordano, Giacomo e Mimmo Cuticchio, Salvatore Barberi e Luca Ferracane

Tra le straordinarie figure dell’antica mitologia greca, Medusa è certamente tra le più famose e diffuse. Tutti conosciamo la storia della terrificante gorgone decapitata dall’eroe Persèo e che pietrifica chiunque col suo sguardo.

Meno noto è invece l’antefatto, quelle circostanze che portarono una bellissima ragazza dalla chioma fluente a diventare il mostro con i serpenti in testa e la morte negli occhi, che ha ispirato artisti di ogni genere ed epoca.

Attraverso un attento recupero delle tarde fonti ellenistiche e ovidiane, il giovane librettista Luca Ferracane ha scritto un commovente e incredibile libretto in versi proprio sulle origini di Medusa.

Il compositore Giacomo Cuticchio ha poi su di essi musicato un’inedita e maestosa partitura per pupi e orchestra e il tutto è infine passato alla sognante regia di suo padre, il cuntista e puparo Mimmo Cuticchio, la cui storica Opera dei pupi è riconosciuta dall'Unesco patrimonio immateriale dell’umanità e che è stato affiancato, in palcoscenico, non solo dal figlio, ma anche da Giuseppe Airò e da Tania Giordano (che ha pure realizzato scene e costumi).
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«Mettere in scena Medusa», dice il maestro Mimmo Cuticchio, «è stato come tornare alle origini, usando la forza delle marionette e la potenza evocativa del canto e della musica. In scena i pupari sono come sacerdoti al servizio della storia e ogni azione è realizzata come una forma rituale. Tutto qui si muove poeticamente, come nei sogni, ma il finale è noto: non possiamo purtroppo cambiare il destino della storia. A noi mortali è concesso solo di sublimarlo nell’arte, nella poesia».

Medusa. Tragedia in musica è stata rappresentata il 26 luglio 2019 presso il Polo d’arte moderna e contemporanea della Regione Sicilia, con il prezioso sostegno del direttore Valeria Li Vigni e in occasione della 36ma edizione del festival "La Macchina dei Sogni", diretto dallo stesso maestro Mimmo Cuticchio in collaborazione con la vulcanica Elisabetta Puleo.

Dopodiché nel luglio dell’anno scorso la tragedia è andata in onda su RAI 5: oggi potete vederla su Rai Play, e, per i più curiosi esiste anche il Backstage che ne racconta la genesi, entrambi con la regia televisiva di Chiara Andrich per Ginko Film.

«Medusa è un'idea che avevo da tempo», dice Luca Ferracane, «il desiderio di concepire un’opera che si avvicinasse all’idea di un’arte totale di wagneriana memoria. Già da studente di scenografia, desideravo andare oltre, verso la regia, certamente oggi più affine alle mie attitudini. Ho così rivalutato lo storico rapporto di cooperazione tra librettista e compositore.

Provvidenziale l'incontro con Giacomo Cuticchio che ha suggellato il progetto: Giacomo è riuscito in circa un anno di lavoro a comporre un’opera straordinaria, in cui convivono la tradizione dell’Opera dei pupi, le suggestioni dell’Opera lirica e la dialettica tra il melodramma barocco e le soluzioni contemporanee».

Per Ferracane il mito torna ancora una volta a farsi emblema di un’umanità fragile, sottoposta non solo ai capricci degli dèi ma soprattutto all’ineluttabilità del fato, «condizione in cui la speranza (Elpìs per gli antichi Greci) compare come l’ultimo dei mali rimasto intrappolato nel vaso di Pandora».

La trama, rivisitata comunque dal librettista, narra della giovane e bella Medusa che, adocchiata dal dio dei mari Poseidone, viene da lui rapita e stuprata nel tempio di Atena, dea della saggezza ma anche della guerra. La dea vergine, sdegnata per l’affronto subìto e sorda a ogni supplica, muta la povera ragazza in uno spaventoso mostro dallo sguardo pietrificante, condannandola di fatto alla più tragica solitudine, a non essere più amata da nessuno.

Medusa si fa testimone di tutta quell’umanità che cerca giustizia e amore, che cerca di sopravvivere agli urti della vita e del caso: il suo sacrificio è un monito da tragedia greca, è un canto di vita.

«Non è un caso», aggiunge Ferracane, «che il suo volto compaia nella nostra trinacria, simbolo anche della Regione Sicilia, circondata dalle spighe di grano, o negli antichi amuleti (gli oscilla) che i contadini esibivano per propiziarsi un buon raccolto. Come i serpenti della sua chioma, essa ha infatti un doppio significato, è allegoria di morte e sterilità ma anche di rinascita e fecondità, di un ciclo che si arresta e di un altro che si rinnova, pieno di vita».

Il Giacomo Cuticchio Ensemble, il Coro Sine Nomine, i soprani Federica Faldetta e Corinna Cascino e il baritono Francesco Vultaggio sono stati magistralmente preparati e guidati dal giovanissimo e scoppiettante direttore d’orchestra Salvatore Barberi, allievo del noto maestro Carmelo Caruso e che mi ha dichiarato di essere stato «felice di aver contribuito a un’operazione così unica e innovativa».

«Considero Medusa», dice invece Giacomo Cuticchio, «emblema della mia esistenza. Giunge dopo tanti anni di maturazione artistica al fianco di mio padre, che è anche mio maestro di arte e di vita. Si è fatto sempre più intenso il desiderio di svelare a me stesso e al mondo ch’io fossi: per tutta la vita ho vissuto l’enigma del mio operato.

Nella Famiglia Cuticchio ognuno ha dato sfogo al proprio estro trovando una posizione che ne specificasse l’ordine e il grado. Nel mio caso il teatro delle marionette e la musica concorrono entrambi alla mia espressione artistica: in tanti anni di lavoro ho scritto sia copioni che partiture e ho dovuto scegliere quale parte prendere al gioco. Quando ho dato vita sul palcoscenico ai miei pupi, ho affidato l’esecuzione della mia musica al Giacomo Cuticchio Ensemble e, viceversa, quando mi sono seduto al pianoforte, ho accompagnato la messa in scena restandone fuori come puparo.

Con Medusa ho tentato una nuova sfida, scrivere un’opera lirica pensata per pupi, in cui la musica interpretasse quei ritmi epico-cavallereschi inscenati dal puparo sul tavolaccio del palcoscenico. La sfida però consisteva non solo nel comporre una gigantesca partitura, ma nel prenderne parte da puparo, quasi fossi io stesso uno strumento musicale assieme alla Compagnia Figli d’Arte Cuticchio, per cui tutti i movimenti dell’azione scenica dovevano praticarsi a suon di musica secondo un preciso quaderno di movimenti.

Ecco dunque Medusa: io con i miei pupi e immerso nella mia musica, lo sposalizio tra i mestieri che trova compimento. Devo tanto anche al mio maestro e amico fraterno Giovanni Sollima, virtuoso violoncellista e audace compositore palermitano: mi ha accolto in casa sua e mi ha fornito preziosi suggerimenti e insegnamenti, primi tra tutti l’invito a esplorare il proprio estro creativo e la promozione di quell’unicità che ogni artista deve perseguire, verso nuovi orizzonti e con regole non convenzionali, anzi assolutamente innovative».

Medusa in effetti è un’opera contemporanea anomala: si privilegia un impianto tonale e armonioso che, su un tappeto sonoro minimale e un dialogo costante tra il clavicembalo e il pianoforte, ossia tra il passato e il presente, incalza facendosi ora epico, cavalleresco e scattante, ora languido, malinconico e gotico. Difficile alla fine non commuoversi, catarticamente, come nella tragedia greca.
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