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Un importante presidio di Palermo: l'ultima fatica di "ingegneria sanitaria" di Basile

La struttura venne inaugurata nel 1928. Ancora in uso e di proprietà regionale, elegante e mai banale, è divenuto nel tempo prezioso presidio di zona

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 5 dicembre 2022

Il presidio ospedaliero di via Arcoleo a Palermo

È l’ultima fatica di ingegneria sanitaria composta in età matura da Ernesto Basile.

Se il primo sanatorio antitubercolare si trova nella periferia estrema in aperta campagna (Ospedale Vincenzo Cervello), il secondo di piazza Peranni ricade all’interno del recinto del centro storico (oggi di proprietà ARNAS Civico), questa volta Basile si trova costretto a intervenire all’interno di un lotto trapezoidale poco oltre le mura urbiche in località Feliciuzza, in direzione del cimitero di Santo Spirito.

Ancora una volta è il figlio Roberto il direttore dei lavori, mentre il cantiere è in mano all’impresa di Salvatore Patti per un importo complessivo di circa 761.000 lire (anni venti).

La struttura verrà inaugurata nell’autunno del 1928 divenendo punto di riferimento nazionale per tutti i tisiologi per la qualità dei rapporti spaziali e dimensionali funzionali alla cura della tisi.

Sotto il profilo compositivo siamo in presenza di quattro padiglioni indipendenti tra loro, coperti tutti da tetti a falde o a padiglioni, caratterizzati in sommità dallo spiccare oltre il piano attico dei pilastri/cantonali e con i frontali smussati tipici dei motivi stilistici basiliani già ampliamente sperimentati dal maestro di Montecitorio.
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Tre su quattro possiedono un fronte articolato lungo le due strade che descrivono il lotto, il restante è posto al centro anticipando il rigoglioso spazio alberato nascosto.

Malgrado sia corretto inquadrare l’opera in oggetto all’ultimo periodo di "Maniera basiliana", la misura floreale resiste ancora nei ferri battuti sopravvissuti allo scorrere del tempo, mentre modanature e fasce marcapiano, cornici e marker parallelepipedi concorrono tutti alla narrazione di uno stile che prende in prestito citazioni formali dal proprio repertorio formale pregresso.

Ancora una volta la pelle dell’edificio costituita da intonaco tipo Li Vigni, consente agli edifici un linguaggio dei prospetti elegantemente controllato su carta e giunto sul piano del reale senza sbavature o compromessi, aggettivando una sorta di minimalismo latente che avvicina il complesso, secondo Gianni Pirrone, a certe architetture tipicamente Hoffmanniane.

Ancora in uso e di proprietà regionale, elegante e mai banale, il complesso sanitario è divenuto nel tempo prezioso presidio di zona, palesando la grande versatilità ancora ai giorni nostri della grande architettura basiliana.
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