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Tukory non è solo una via di Palermo ma è stata una persona: questa è la sua storia

Come mai, direte voi, una delle vie più frequentate di Palermo deve essere intitolata a un ungherese? Ecco la storia dell'uomo che ha dato il nome alla famosa strada

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 4 ottobre 2020

Il mezzobusto dedicato a Tukory

Tukory a Palermo non è un cristiano, è un via, un suono, una parola, un insieme di lettere che legate assieme, tuttalpiù, diventano un posto in cui ci si incontra per un caffè. Nei casi più disperati diventa pure corsotukeri, detto così tutto d’un fiato, ma lì si tratta di casi irreversibili dove perfino la medicina moderna ha alzato le mani.

Lajos era un bravo picciotto, così si chiamava di nome, ma non era palermitano, e manco siciliano; anzi, se proprio dobbiamo essere onesti, quello non ci appizzava niente manco con l’Italia, anche se poi ha aiutato Garibaldi a unificarla. Lajos in realtà nasce in Ungheria in una città che pare il nome di un giocatore a parametro zero comprato nell’ultimo giorno di calciomercato tanto per spendere gli ultimi soldi del buono sconto di Zalando: Körösladány.

E che nicche e nacche che una delle vie più frequentate di Palermo deve essere intitolata a un ungherese, direte voi? In realtà Lajos Tukory, secondo me, tutto aveva messo in conto nella sua vita, tranne che venire a morire a Palermo. Ma facciamo un salto indietro.
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Nasce il 9 settembre del 1830, un giorno signalato che ha dato i natali a personaggi di un certo livello: Richelieu (cardinale dei tre moschiettieri), Cesare Pavese il poeta, lo scrittore Tolstoj, Luigi Galvani (scopritore dell’elettricità biologica); poi, il nove settembre 1978, un’anomalia di sistema porta alla nascita di Maurizio Martina e qua si spiega perché tutti personaggi elencati sopra, in quell’anno, sono stati trovati rivoltati nella tomba con un cartello con su scritto: “No, Maria, io esco!”

Appena fa diciotto anni e gli spuntano i baffi diventa tenente della milizia nazionale e parte in Transilvania a combattere contro i ribelli a colpi di trecce d’aglio, crocifissi e paletti di legno; Dracula non lo trovò, ma in compenso venne nominato capitano. Spostato nel battaglione turco, visto che fermo non ci sapeva stare, acchiappa e si va a fare un’altra guerra in Crimea contro la Russia: nel campo di battaglia Lajos Tukory è un canazzo di bancata e il suo coraggio non può che portarlo all’ennesima promozione.

Manco il tempo di una vacanza e scoppia il conflitto italo-austriaco che vede il regno di Sardegna e la Francia da una parte e l’Austria dall’altra; l’Ungheria manda quindi 3000 soldati in Italia in aiuto, fra cui Tukory che incontra tutti i vip che fino ad all’allora aveva visto solo nei giornali: Vittorio Emanuele II, Napoleone III, Camillo Benso conte Cavour.

Nel frattempo in Austria, a casa di Sissi, non si capisce più niente: sua suocera che gli abbannìa dalla mattina alla sera: «consumasti a me figghio, consumasti a me figghio!», e lei per sfregio, visto che il marito è sempre fuori per impegni politici, organizza feste e festini con i soliti Emilio Fede, Lele Mora, Flavio Briatore, i tronisti di uomini e donne e Paolo Fox che gliela fa a torroncino a tutti con l’oroscopo; la situazione scappa talmente di mano che l’Austria, non proprio per queste cose, si vede costretta a cedere la Lombardia al Regno di Sardegna.

Qui Lajos Tukory resta disoccupato ma per sua fortuna incontrerà un hippy con la barba e i capelli lunghi che lo porterà alla gloria: Giuseppe Garibaldi. Garibaldi era un po’ Socrate e un po’ Beppe Grillo. Un po’ Socrate perché stava sempre a insegnare ai ragazzi: “Chistu si fa, chistu un si fa”; e un po’ Beppe Grillo perché dalle sue parole si evince che i politici non gli calavano tanto assai: «I governanti sono generalmente cattivi, perché di origine pessima e per lo più ladra».

Se poi dovessimo dirla tutta, altro che Risorgimento! Quello teneva solo una fissazione: i preti. “Il prete degrada Dio”, “Il prete dura benché i ciechi soltanto non s’accorgono che egli è il primo a farsi beffe delle favole che spaccia”, “Il prete che insegna Dio è un mentitore, poiché nulla egli sa di Dio” “Preti alla vanga!”, “La storia del Papato è storia di briganti”.
Insomma, lo facevo uno tutto casa e chiesa e mi sembrava che quello delle santine fosse lui, e invece era san Giuseppe, per non parlare di quello delle mille lire di cui ero convintissimo, e invece era Marco Polo, e Garibaldi intanto non poteva vedere né quelli che stampavano le santine né quelli che stampavano i piccioli.

Tukory, affascinato dal carismatico guru, si unisce dunque ai mille, che poi non si è capito mai quanto erano, e insieme Nino Bixio, Giuseppe la Masa, Vincenzo Giordano Orsini e Alain Delon nella parte di Tancredi, combattono la battaglia di Calatafimi. Proprio lui, Lajos, comandava l’avanguardia che il 27 maggio avrebbe dovuto irrompere dentro Palermo. Un colpo di qua, un colpo di là, i nemici caddero uno dopo l’altro e proprio Tukory riuscì superare le barricate nemiche.

Purtroppo, un colpo di sfortuna, o forse aveva u destino signato, un gran crasto spuntò all’improvviso sparando una fucilata al ginocchio di Lajos a distanza ravvicinata. Fosse stato un cristiano qualunque se la sarebbe cavata sicuramente; ma lui non era un cristiano qualunque, era un cavallo di razza, e come tutti i cavalli di razza una volta che azzoppano non c’è niente da fare.

Lo poteranno vicino via Maqueda in via del Bosco 49; cu tutti i posti dove Garibaldi dormiva trovare un posto dove non aveva dormito nessuno non deve essere stato facile. Purtroppo il 6 giugno, colpa di un’infamissima gangrena, Tukory muore e l’unica cosa che mi viene in mente è Garibaldi, invece di fare il discorso funebre come dicono tutti, deve essersela presa cu tutti i parrini di Palermo e provincia.

Ora è rimasto il nome di un corso e qualche ritratto fatto male. Nonostante i baffi, quell’aria marziale, la postura severa, il 6 giugno 1860 muore Lajos Tukori, ma prima ancora un ragazzo di soli 30 anni. Lui forse è stato il più fortunato, gli altri non avranno mai memoria.
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