DIARI DI VIAGGIO
Tre borghi imperdibili in Sicilia: dal mare (stupendo) al castello, fino al bar del "Padrino"
Un viaggio nella Valle D'Agrò, un'immersione nei luoghi dove il mare e l'accoglienza non ti lasciano andar via. E poi resti di storia antica e curiosità tutte da scoprire
Fondaco Parrino (Foto di Susanna La Valle)
Oltre che deposito fu anche un rifugio per la notte o semplicemente un luogo di sosta per stanchi viaggiatori, alcuni dei quali avevano attraversato lo stretto.
Le strade allora erano poco più che "trazzere” territorio di briganti, specie dopo il tramonto. Ed è nel Fondaco Parrino che anche noi abbiamo trovato rifugio per alcune notti. Coccolati dalle premure delle discendenti del Parrino.
Per arrivare abbiamo percorso la strada Nazionale passando l’unico promontorio roccioso sul mare Ionio, tra Messina Taormina: Capo Sant’Alessio.
Il grande Edrisi, geografo e viaggiatore arabo, lo descrisse nel 1150 con un nome arabo che indicava una difficile salita.
La Torre Saracena svetta sulla roccia e passò per varie dominazioni, sino a che fu acquistata dopo l’unità d’Italia dal Marchese Pietro Mauro, uno dei discendenti è ancora là.
Difficile spostarsi da qui: vi sono appartamenti con terrazza sopra una spiaggia privata e un mare stupendo, siamo quasi intenzionati di farci travolgere dall’ozio più assoluto e a fermarci qui per tutta la vacanza.
Ma è la stessa proprietaria a consigliarci di andare alla scoperta di questo territorio, iniziando da Forza D’Agrò. La salita per arrivare a questo piccolo borgo ha vari tornanti che meriterebbero di esser percorsi in bicicletta, per godere a ogni svolta di una vista mozzafiato; ma anche in macchina, lo spettacolo è assicurato: con un unico sguardo si abbraccia la costa Calabra, Messina, Taormina e l’Etna.
Una volta arrivati in cima, a 420 metri sul mare, il ristoro è assicurato da una straordinaria granita al limone servita con Il tipico Biscotto Messinese che sostituisce la ”brioche”.
Di fronte al bar c’è una villa a terrazze da dove s’intravede la Calabria che da qui sembra un’isola all’orizzonte.
Il paesino con pochi abitanti ha i resti di un Castello Normanno, luogo di segreti misteriosi e tenebrosi, la cui costruzione è stata attribuita al Conte Ruggero (XI e XII secolo).
La proprietaria del Fondaco ci racconta che il Castello divenne nel 1876 il cimitero del paese, i suoi antenati risposano lì. La particolarità non è data solo dalla singolare destinazione d’uso, ma da un’usanza funebre particolare.
Racconta che all’inizio, erano poveri tumuli, che a prima vista sembravano casuali, in realtà ogni famiglia seppelliva i propri morti sotto un albero che diventava emblema e lapide.
Ogni nucleo aveva il suo albero, il capostipite subito sotto il tronco con attorno i famigliari. Un pino, noce, melograno, fico o ulivo diventavano un luogo di ricordo e di preghiera.
Con il tempo cappelle di porfido e marmo occuparono il posto di questi alberi che furono abbattuti trasformando il Castello.
Lo storico dell’arte Vittorio Sgarbi lo considerò un autentico scempio artistico e culturale.
Forza D’Agrò è uno strano paese, sembra cristallizzato su questa collina, la via che esce alle spalle del borgo, sembra non conduca da nessuna parte, non ha neanche un nome, è la via “vicinale” che si perde tra casupole, rocce, lantane, fichi selvatici e finocchietto, tornanti a strapiombo sul mare.
Altro posto imperdibile da visitare è Savoca. Anche questo di origine medievale si è arricchito nei secoli di edifici rinascimentali, barocchi e neoclassici.
Nella cripta della Chiesa del Convento dei Cappuccini, sono conservati 37 corpi mummificati, quasi tutti uomini, riccamente vestiti, erano gli aristocratici e i notabili savocesi.
Il processo di essicazione di questi corpi è stato studiato dall’antropologo Piombino Mascoli, che è riuscito determinare le caratteristiche fisiche, abitudini alimentari e persino patologie.
Negli anni ‘80 le mummie furono oggetto di un atto vandalico, probabilmente uno squilibrato, di notte, s’introdusse nella cripta imbrattando di vernice verde i corpi, questo determinò un lungo lavoro di restauro.
Ma visitare Savoca vuol dire, anche, recarsi “in pellegrinaggio” in un luogo cult: il bar Vitelli. Qui sono state girate le scene del Padrino dove Michel Corleone, (Al Pacino) rifugiatosi in Italia, chiede in sposa una bellissima Simonetta Stefanelli, Apollonia, figlia del proprietario del bar.
Savoca fu scelta dietro insistenza del Barone Pennisi che convinse Coppola a girare al Bar della vecchia proprietaria, la Zia Maria. Il nome Vitelli fu scelto dal regista, e da allora è rimasto così.
Visitare oggi questo posto, che ha all’interno un piccolo museo, richiede una grande dose di tolleranza: frotte di americani in canotta, ciabatte e “panama” vanno dietro a guide, mentre le turiste vestite in maniera incredibile con ombrellini e ridicoli cappelli pieni di nastri e fiori, si scattano selfie a ripetizione.
Fuori dal locale un’istallazione riproduce Francis Ford Coppola seduto dietro la macchina da presa, realizzata dall’artista Nino Ucchino.
Non dà fastidio il merchandising, aiuta l’economia del posto e lo chiedono i turisti americani, che in gruppo, dopo aver consumato qualcosa al bar e magari comprato una tazzina che ha per manico una rivoltella, salgono sull’immancabile “lapetta” che smarmittando, tra gridolini e risate sotto un sole implacabile, li porterà in giro per il paese.
Dopo aver visitato questi luoghi tipicamente turistici, decidiamo di riprendere il nostro viaggio, temporaneamente lontani dal mare, folla e clamore, visiteremo i selvaggi e magici Nebrodi.
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