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Storie che (quasi) nessuno conosce: le tredici vittime di piazza XIII Vittime a Palermo

Siamo alla fine dell'Ottocento: un'esecuzione crudele interrompe la vita di tredici palermitani, ancora oggi commemorati dal monumento alla fine di via Cavour

Balarm
La redazione
  • 3 agosto 2018

L'obelisco delle "Tredici Vittime" a Palermo

Uomini e ragazzi, anche molto giovani, sono le tredici vittime che Palermo vuole ricordare con un obelisco, ormai quasi dimenticato nell'abbandono delle sterpaglie, lì dove via Cavour incontra la via Francesco Crispi.

Piazza Tredici Vittime esiste dalla fine dell'Ottocento, precisamente dal 1883: anno in cui venne eretto questo monumento che commemora tredici persone e che dovrebbe fare da monito perché tutti abbiano un giusto processo.

Invece la storia di questi uomini è crudele e ingiusta: imprigionati al Castello a mare (era uno spaventoso carcere, leggi qui), vengono uccisi a volto coperto nella primavera del 1860.

Tutto nasce in occasione della rivolta della Gancia (se non ne sai niente ecco dove ne abbiamo parlato). Al centro delle operazioni c'era appunto la chiesa della Gancia in via Alloro dove si scontrarono patrioti antiborboni e soldati borboni, oltre alle vittime ci furono dei prigionieri, tredici rivoltosi vennero arrestati.

Pochi giorni dopo si facevano più frequenti le voci di una nuova insurrezione e allora la milizia decise di placare gli animi dei palermitani con una esecuzione che fu definita "esemplare".
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I tredici condannati furono portati fuori dal castello con un telo nero che copriva il loro volto e venne imposto con la forza a tredici passanti di improvvisarsi militari per accompagnare i loro concittadini al patibolo.

Una volta sul luogo dell'esecuzione (tra la chiesa di San Giorgio dei genovesi e l'attuale piazza Tredici Vittime), furono fatti inginocchiare davanti a tre file di soldati, composte ognuna da tredici uomini.

Al segnale di far fuoco i primi a sparare furono i militari della prima fila che lasciarono il posto a quelli della seconda fila e poi fu la volta della terza.

A morire per la patria furono: Michelangelo Barone, di 30 anni, Gaetano Calandra, 34 anni, Sebastiano Camarrone, di 30 anni, che non morì sotto gli spari di fucile e anche se la legge di allora decretava che il condannato era, a quel punto, salvo fu ugualmente finito con un colpo alla testa.

E ancora Cono Cangeri, 34 anni, Andrea Coffaro, 60 anni, Domenico Cucinotta, 31 anni, Nicolò Di Lorenzo, 32 anni, Giovanni Riso,, 58 anni, Liborio Vallone, 44 anni, Pietro Vassallo, 40 anni e infine Francesco Ventimiglia, Michele Fanara e Giuseppe Teresi che hanno solo 27, 22 e 28 anni. I loro nomi sono ancora incisi alla base dell'obelisco.

La folla di gente intorno a loro fu costretta, tra lacrime e grida, ad avvicinarsi ai cadaveri e alle donne fu chiesto di spegnere con dell'acqua un principio di incendio che stava diramando dai corpi a causa dei proiettili che furono usati, coperti di cera.

Soltanto quattro casse erano state prese per la sepoltura e i corpi degli uomini vennero divisi in gruppi: i tredici martiri furono poi portati su di un carretto al cimitero dei Rotoli per finire gettati in un carnaio comune.

Nel 1883, 23 anni dopo, viene progettato e realizzato, dallo sculture Salvatore Valenti, l'obelisco che ancora oggi vediamo, dimenticato tra le sterpaglie.
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