AMBIENTE
Sono buoni, voraci e mangiano C02: come i batteri "siciliani" possono salvare gli oceani
Un'isola della Trinacria nasconde un tesoro per gli scienziati di mezzo mondo che li stanno studiando in collaborazione con alcuni docenti dell'Università di Palermo
La spiaggia di Vulcano al tramonto
Non sempre però è così. Esistono diverse specie di batteri che risultano completamente innocui e all’interno del nostro intestino convivono miliardi di batteri diversi, che risultano i nostri principali simbionti.
Tra i batteri "positivi" che però ultimamente stanno ottenendo maggiori attenzioni da parte della comunità scientifica ci sono quelle specie che hanno anche un interessante impatto con il clima e che possono diventare dei nostri inattesi alleati, nei confronti del cambiamento climatico e dell’inquinamento.
Un gruppo di scienziati della Harvard Medical School, della Colorado State University e dell'Università di Madison-Wisconsin, in collaborazione con alcuni docenti dell’Università di Palermo, come Marco Milazzo, hanno tra l’altro proprio recentemente scoperto e iniziato a coltivare in laboratorio un nuovo gruppo di microbi fotosintetici, che si sono dimostrati molto efficaci nella cattura del carbonio.
Questa scoperta è avvenuta sull’acque ricche di CO2 dell’isola di Vulcano, nelle Eolie, dove naturalmente il mare è particolarmente ricco di carbonio per via delle emissioni sottomarine di gas dell’area vulcanica.
Inoltre tali microbi scoperti, noti alla scienza come cianobatteri, sono molto più capaci rispetto ad altre specie già conosciute di catturare il carbonio dall’ambiente circostante, poiché si sono evolutivamente adattate alla convivenza con un grande numero di strutture vulcaniche.
Gli scienziati americani e italiani che collaborano a questa ricerca fanno parte anche di un progetto internazionale noto come "The Two Frontiers Project (2FP)", che rispetto ad altri gruppi di lavoro utilizza metodi scientifici alternativi per esplorare i microrganismi estremofili che è possibile trovare all’interno degli ecosistemi vulcanici.
Il ritrovamento di questi primi particolari batteri è avvenuto lo scorso autunno, nel settembre del 2022, e dopo un lungo anno di studio e gestazione gli scienziati della Harvard Medical School ne hanno cominciato a coltivare alcune colonie, con l’intento di chiarire quali sono i meccanismi che hanno permesso a queste specie di assimilare maggior carbonio dall’ambiente.
Dai primi risultati ottenuti dalle coltivazioni inoltre si sa che queste specie possono essere impiegati anche per produrre delle molecole interessanti, che danno forma a bioplastiche biodegradabili o a biocombustibili. In generale quindi gli scienziati seguono con molta attenzione gli sviluppi di questa ricerca, poiché potrebbe portare le bioraffinerie a produrre ingenti quantità di batteri per il commercio dei biocombustibili.
A parlare di questa scoperta è stato lo stesso prof. Marco Milazzo del Dipartimento DiSTeM di UNIPA, che qualche mese fa aveva concesso una dichiarazione.
«In particolare con il supporto di ricercatori dell’INGV e della comunità locale è stato possibile caratterizzare la chimica della baia di Levante e sono stati condotti campionamenti di acqua, sedimenti e biofilm microbici, al fine di ottenere sia microrganismi coltivabili ancora sconosciuti che materiale biologico per la conservazione e lo studio del DNA.
Successivamente, un gruppo più ampio di scienziati della Harvard Medical School, ha iniziato a coltivare specifici questi microrganismi fotosintetici dai campioni provenienti dalle acque siciliane.
Sono stati isolati cianobatteri mai visti prima d’ora, che si sono rivelati più efficaci per la cattura del carbonio rispetto a quelli isolati finora. In breve questi batteri fotosintetici sono delle vere e proprie macchine naturali produttrici di materia organica di elevato valore, a partire da risorse inesauribili, quali la luce solare e l'anidride carbonica.
Questi microrganismi possono essere utilizzati come fonte di biomasse, di acidi organici, lipidi, proteine, carboidrati, vitamine e pigmenti naturali e altre sostanze utili. La biomassa può essere impiegata nelle bioraffinerie per produrre biocombustibili. I primi dati suggeriscono che questi microrganismi possono persino convertire il carbonio catturato in bioplastica biodegradabile».
Il team di 2FP è composto oltre che da Marco Milazzo anche da Paola Quatrini, Gabriele Turco e Davide Spatafora, tutti docenti di UNIPA.
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