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Sfatiamo il mito della Sicilia retrograda: qui le donne emancipate esistono fin dal '700

È la penna dei viaggiatori stranieri in Sicilia a puntare il focus sul ruolo femminile dell'epoca, riferendo dettagli significativi, spesso sconosciuti. Eccone solo alcuni

  • 29 maggio 2023

Donne in viaggio nella Sicilia dell'800

Sfatiamo un mito, quello di una Sicilia chiusa e retrograda. Ce ne fornisce l'occasione un argomento forse troppo poco approfondito nella Storia della Sicilia: la donna.

C’è infatti, nel filo cronologico delle descrizioni che riguardano le dame dell'aristocrazia isolana nel XVIII secolo, se non un processo di "emancipazione" femminile, quanto meno un graduale espandersi della loro presenza e autonomia, l'esplicarsi di una "libertà" culturale, sociale (e sessuale) che potrebbe stupire.

Perché se ancora nei primi decenni del Settecento le nobildonne siciliane parlavano solo in dialetto e non partecipavano ad una serie di attività considerate tipicamente maschili, alla fine dello stesso secolo esse sono onnipresenti nelle numerose occasioni di socializzazione e si esprimono correttamente in italiano, francese e alcune in inglese.

È la penna dei viaggiatori stranieri in Sicilia a puntare il focus sul ruolo femminile dell'epoca riferendo dettagli significativi, spesso sconosciuti.
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Manca purtroppo un'indagine sulla situazione, l'aspetto e il carattere delle popolane sulle quali troviamo solo qualche osservazione generica che comunque ce le descrive di temperamento ospitale, allegro e aperto ( nonostante la miseria in cui versava il popolo).

Le donne che questi visitatori, per la maggior parte nobili, frequentano durante il loro soggiorno nell'isola, appartengono al loro stesso ceto: regine dei salotti mondani, abili nella conversazione, esse suscitano per la loro vivacità, allegria e disponibilità le sperticate lodi dei più giovani stranieri ( e qualche riprovazione dei più severi).

Tutta l'attenzione di questi gentiluomini si riversa sulle nobildonne, sorprendentemente protagoniste della vita sociale, colte, libere sino al limite del libertinaggio.

Basti pensare che a Palermo le dame avevano il permesso dei mariti per recarsi alla quotidiana e non proprio innocente passeggiata alla Marina (con le mascherine però, per non essere riconosciute!), cosa che scandalizza lo scrittore scozzese Patrick Brydone e non solo.

L’abate francese Jean- Claude De Saint-Non descrive la Marina in termini che rimandano alla selva ariostesca: «qui regna l'oscurità più misteriosa e la meglio rispettata: tutti vi si confondono e si smarriscono; tutti vi si cercano e vi si trovano».

Ma anche Houel, in visita al palazzo del Principe di Campofranco e poi a pranzo dal conte Grignani, rimane sorpreso nel constatare di trovarvi "più libertà che in Francia".

E un'ulteriore testimonianza è quella del figlio del sultano del Marocco che, assistendo nel gennaio del 1783 ad una festa da ballo al palazzo del Vicerè, trova scandaloso che "a Palermo le donne comandino sugli uomini, adorate e venerate da questi.

Molti altri visitatori (Münter, Von Riedesel, Bartels, per citarne qualcuno) rimangono ugualmente colpiti dalla rilassatezza di costumi, tanto da considerare la capitale dell'isola “l’Eldorado d'Europa" e non risparmiano critiche alla moralità del sesso femminile palermitano di fine ‘700, mentre a Catania Thomas Wright Vaughan, ospitato dalla locale nobiltà, è incantato dalla bellezza delle donne, talune – scrive - stranamente rassomiglianti a signore inglesi, «il che fa pensare ad una bellezza non sempre di tipo meridionale» .

E ancora a proposito delle donne palermitane, Joseph Hager così continua: «La loro andatura, i loro balli, ogni loro movimento hanno un non so che di dolce e di delicato, la loro conversazione è vivace, il loro sguardo espressivo; ora con fisionomia languida, ora con sorrisi maliziosi, ora con parole scherzevoli; il suono della loro voce è dolce e la loro presenza spira in tutti gli astanti serenità».

Non a caso un ufficiale al seguito del duca di Berry elencava le delizie procurategli da dame come la duchessa di Sorrento, la marchesa Aceto, la principessa di Hesse! Soffermiamoci infine sull'esperienza di Brydone: «A casa Partanna trovammo il figlio del Principe e la Principessina (Benedetto e Pellegrina), due giovani amabilissimi, intenti a giocare a botta e risposta e altri giochi.

Fummo accolti allegramente nella piccola brigata di buon umore e passammo parecchie ore divertenti. Te ne parlo per farti vedere che differenza c'è tra qui e l'Italia dove familiarità del genere non sono consentite prima del matrimonio.

Qui le fanciulle sono disinvolte, affabili, senza affettazioni, e non (come su nel continente) continuamente attaccate alle sottane delle madri, le quali le accompagnano in società non perché si divertano, ma piuttosto per offrirle in vendita». Tra lodi e critiche, una condizione femminile in gran fermento, in una società come quella siciliana, troppo spesso tacciata di immobilismo e arretratezza.
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