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Sei sulla Palermo-Messina e lo vedi: il castello che nasconde un segreto inquietante

C'è una struttura fra i monti della A20 (che non tutti conoscono). Qui i cittadini del borgo si nascondevano dagli attacchi dei pirati. Di che fortezza stiamo parlando

Anna Brisciano
Collaboratrice
  • 8 luglio 2024

Il castello di Bauso

Immagina di trovarti sull'autostrada che porta da Palermo a Messina. Il percorso è pieno di lavori, sono tanti i restringimenti e il traffico tiene fermi. Sei bloccato sulla A20 e non puoi fare altro che guardarti intorno. Alzi gli occhi al cielo e noti proprio sopra di te un'antica fortezza: hai davanti il Castello di Bauso.

La struttura, che sorge nell'omonimo contado, all'interno del comune di Villafranca, in provincia di Messina, fu costruita nel 1590 per ordine del conte Stefano Cottone, importante mercante e banchiere, IV signore di Bauso.

Qui i vicerè di Sicilia venivano accolti, ristoravano e si riposavano durante i loro viaggi da Palermo a Messina. Le dimensioni e la fattura rivelano anche altre funzione a cui assolveva.

Il castello era la residenza secondaria del conte Cottone e la fortificazione serviva anche ai cittadini del borgo come rifugio nel caso di attacchi da parte di corsari barbareschi e pirati, provenienti dal mare di fronte.
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Quando le esigenze difensive si facevano più rade, le strutture castellane, nate per esigenze strategico-militari, si trasformavano in eleganti palazzi residenziali nobiliari.

Nel 1800 la famiglia Cottone si estinse e il castello fu acquistato per 9.000 onze dall’ex giudice della Gran Corte Civile di Palermo, Domenico Marcello Pettini.

Alla famiglia Pettini si deve l'aggiunta di rilievi marmorei e busti, con ritratti di antenati, e la creazione intorno al palazzo di uno splendido “Giardino all’italiana”, caratterizzato da pietre di colore diverso e vetri multicolori.

Al suo interno un laghetto dove alcune fontanelle creavano giochi d’acqua che davano vita a delle cascate in grotte artificiali intitolate ai tre Canti della Divina Commedia: si tratta delle grotte “Inferno”, “Purgatorio” e “Paradiso”.

Dentro l'oasi verde si potevano trovare anche una fontana detta “dei quattro leoni” e un'opera cinquecentesca dello scultore fiorentino Giovanni Angelo Montorsoli.

Nel 1926 il castello fu venduto al notaio Pietro Saja che, dopo avervi fatto eseguire alcuni lavori di restauro, lo donò a Benito Mussolini.

Venne, quindi, destinato a sede della Gioventù Italiana Littorio e per tanti anni fu conteso fra lo Stato e gli eredi Saja che ne rivendicavano la legittima proprietà. Oggi è di proprietà della Regione Siciliana.

Dietro la struttura si nasconde un interessante aneddoto: la storia del brigante Pasquale Bruno, il cui teschio, dopo essere stato giustiziato, venne conservato in un gabbione, posizionato sugli spalti del castello. Parlò delle sue gesta Alessandro Dumas attraverso il romanzo storico “Pasquale Bruno o il Bandito di Val Demona”, pubblicato nel 1839.

La storia racconta che Pasquale Bruno nato a Calvaruso nel 1770 si era recato a Palermo per ricongiungersi con l’amata Teresa, cameriera della contessa Gemma.

Arrivato in città il brigante scoprì che Teresa era stata promessa sposa ad un servitore del principe di Carini ed amante di Gemma. Quest'ultima lo riconobbe come il figlio di Antonio Bruno che anni prima aveva provato ad assassinare suo padre, il conte di Castel Nuovo.

Alle sue urla intervenne il principe di Carini che finì per uccidere con un colpo di pistola il promesso sposo di Teresa. Dopo la sua esecuzione del 1803, la testa mozzata fu esposta, “a mirabile esempio dei vassalli”, dentro una gabbia di ferro penzolante sul portone d’ingresso del castello di Don Carlo Cottone, ultimo principe di Castel Nuovo.

I Pettini decisero di non rimuovere il gabbione che conteneva i resti dell'uomo. Una storia tutta da scoprire, come lo stesso castello, che dal 2003 è fortunatamente aperto a chiunque voglia conoscere tutti i segreti che si nascondono dietro questa misteriosa e non troppo conosciuta struttura.
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