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Sai che lui era esperto di folklore siciliano: ma non conosci la (vera) professione di Pitrè

C’è chi ha scritto che in lui convivevano due nature, quella razionale e quell’altra curiosa alla perenne ricerca di tutto ciò che era legato alla tradizione

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 29 gennaio 2023

Giuseppe Pitrè

Che fosse un medico lo ricordano in pochi, Giuseppe Pitrè per tutti era l’esperto del folclore siciliano e delle tradizioni popolari.

La definizione che lui diede a questi studi fu la Demopsicologia che insegnò all’Università di Palermo, dal 1910. Pioniere evoluzionista, favorì gli studi degli etnologi come Giuseppe Cocchiara, Salvatore Salomone Marino e fu fonte d'ispirazione per grandi scrittori.

Pitrè nasce a Palermo nel 1841, da una famiglia umile, dopo la morte del padre marinaio a New Orleans, frequentò il liceo “Classico” presso il collegio dei Gesuiti a Palermo e si laureò in Medicina e Chirurgia nel 1865. Il museo di Palermo, lui dedicato, è una raccolta di “cultura materiale”: 4000 oggetti distribuiti in 20 sezioni dove cono conservati oggetti, vestiti, arnesi, veicoli, arredi, corredi.

Eppure come abbiamo appena scritto nulla di tutto questo, è nel suo curriculum di studi. Lavorò come medico durante la peste di Palermo, curando i malati della Kalsa, scrisse: “Nelle epidemie ultime (1866-1867) io, baldo allora di gioventù, fui medico mandamentale dei colerosi di Palermo. Molte cose vidi e osservai in quei giorni dolorosi”.
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Con queste parole tratte da “Il colera nello studio delle tradizioni popolari” notiamo come la professione medica diventò, sin da quegli inizi, uno strumento di osservazione e studio. Come medico curava il colera, mentre da studioso, nel frattempo, trascriveva e prendeva nota: “Non c’è stato giorno in cui non abbia notato un nome, una diagnosi, un giudizio o un rimedio/formula”.

Allo stesso capezzale del malato oltre a lui, vi erano altri “operatori” che prescrivevano e curavano con rimedi che poco avevano a che fare con la medicina. Barbiere, Conciaossi, Curmodore curavano, ma fornivano anche pronostici, presagi, formule divinazioni.

I Barbieri erano i chirurghi di una volta, il cui rimedio più famoso era il salasso, ritenendo che la fuoriuscita del sangue lo poteva ripulire.

Tutti questi ”medici” curavano ascessi, fratture e malattie veneree, praticavano punture suture, e con la vaccinazione del vaiolo innestavano la malattia.

Pitrè ricorda come il Barbiere tastava il polso, ispezionava la lingua: “ lui che appena sapeva scrivere, ordinava le medicine allo speziale” sempre che non avesse già il rimedio. Questi “medici” avevano ricevuto un’abilitazione sin dal XIV secolo, bastava un semplice esame.

Tutto ciò in ampio contrasto con quello che sin dai tempi di Re Ruggero e poi Federico II, era richiesto per l’abilitazione alla professione: conoscenza e pratica medica, insieme a grammatica e filosofia.

Per Pitrè tutti i giorni era lo stesso “ teatro”: la comare guardava la medicina prescritta, scuotendo il capo, affermava che non sarebbe servita a nulla, e che addirittura avrebbe potuto aggravare il quadro clinico; riferiva di casi in cui la prescrizione aveva portato il malato in punto di morte, mentre il rimedio di uno “zio” l’avrebbe salvato.

Dice Pitrè che ogni parente/amico era un giudice affidabile, e il suo responso negativo, sul medico curante, era da tenere in grandissima considerazione.

Tra i dubbi e le assolute certezze, il medico si trovava in minoranza, costretto spesso ad accettare la somministrazione di pozioni miracolose o di rituali magici. Rimedi che spesso, grazie al potere della suggestione, riuscivano a “ raggiungere lo scopo”, rispetto a uno studio e valutazione scrupolosa che a volte falliva.

Tra i rimedi c’era di tutto: polverine, erbe, scongiuri, litanie, parole e oggetti magici, e soprattutto vere o presunte reliquie di santi raccolti nei benedicaria.

Della difterite, a quei tempi senza vaccino e che mieteva tante vittime tra i bambini, si diceva nei quartieri popolari di Palermo che i medici non ne sapevano niente, molto meglio il rimedio del Barbiere della Contrada Vergine Maria "né sa’ molto di più".

Tra i rimedi anche le acque miracolose di Palermo, da San Mercurio, Sant’Oliva, Sant’Agata e tante altre era un potente antinfiammatorio; c’erano otiti curate con lanugine del basso ventre delle pecore, rimedio ancora praticato con risultati, dicono, miracolosi.

Poi c’erano le tradizioni legate a culti particolari come i Pani miracolosi, la cui consumazione, poteva agevolare la guarigione, a incominciare da quello di San Nicola o San Biagio.

La sua carrozza la conoscevano tutti, ma preferivano avvicinarlo per qualche consulto veloce piuttosto che averlo in casa. Nonostante l’apprezzamento di colleghi e studiosi era considerato “un bravo medico tra i letterati, e un bravo letterato tra i medici”.

Diffidenza che aumentò con le sue prime pubblicazioni; il Corriere di Palermo scrisse sui libri di fiabe: ”Il Dottor Pitrè ha pubblicato 4 volumi di porcherie”.

C’è chi ha scritto che in lui convivevano due nature, quella scientifica e razionale, e quell’altra curiosa alla perenne ricerca di tutto ciò che era legato alla tradizione.

La prima era la sua formazione, la seconda lo rese famoso. Non sappiamo quanto sia costato questo travaglio interiore. Nei suoi scritti leggiamo rammarico verso la scarsa attenzione prestata alle sue visite, parla dell’ignoranza di chi si poneva al suo stesso livello, benché analfabeta.

La classificazione delle malattie per questi operatori era secondo la loro natura e gli effetti che producevano, dove la fisiognomica era un argomento importante.

Le malattie conosciute non erano più di un centinaio, cui si collegavano tutti gli altri sintomi. Queste che furono sconfitte per il Dottor Pitrè dall’altro lato, gli fornirono un bagaglio d’informazioni uniche, e se gli improvvisati colleghi lo deridevano, non lo fece mai notare.

Mai zittiti questi “colleghi”, in quelli che sembrarono a lui degli sproloqui, prese nota di quei consulti “originali quanto primitivi”, ascoltò in silenzio, mettendosi quasi da parte, avido di prendere appunti e raccogliere quelle preziose informazioni.
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