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Quando Palermo aveva il suo salotto: è una meraviglia l'antica Galleria delle Rose

Un luogo che dovrebbe essere un vanto per la nostra città, che andrebbe rivalutato, custodito e protetto: decorazioni, poesie fasci di arbusti e maioliche in pieno centro

  • 8 gennaio 2019

La Galleria delle Rose a Palermo

È così bella, è un incantevole angolo dischiuso fra piazzale Ungheria e via Generale Magliocco, nel "salotto" di Palermo.

Eppure la Galleria delle rose spesso sfugge all'attenzione dei passanti presi dallo shopping o dal ristorarsi nei locali del centro.

Sembra misteriosa, avvolgente e invece non è altro che un inno alla bellezza. Non si può fare a meno di camminare in punta di piedi sullo splendido pavimento maiolicato e sulle sue decorazioni.

Come anche sulla scritta che esso riporta: "Godi degli aranci che hai colti, la loro presenza è presenza di felicità, benvenute le guaine dei rami, benvenute le stelle degli alberi! Si direbbe che il fuoco abbia piovuto oro puro, e la terra ne abbia foggiato sfere lucenti".

Si tratta dei leggiadri versi di Abu’l Hasan Ibn Abd-Ar-Rahman, poeta arabo-siculo vissuto fra l'undicesimo e il dodicesimo secolo.

Questo magnifico pavimento è opera dell'architetto Pantuso, il cui atelier si trova internamente alla stessa Galleria delle rose.
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L'attribuzione del suo nome è incerta, ma probabilmente si può ricondurre ad uno dei due bassorilievi lignei collocati nelle due mezzelune interne poste ai suoi estremi, nel quale si riscontra la presenza di sette rose.

Mentre nella lunetta opposta sono raffigurati un uomo e tre cavalli. Chi si inoltra nella Galleria delle rose viene investito da autentica poesia, come le scritte dei cartelli poste lungo le inferriate che circondano l'accesso alla scala che conduce al laboratorio dell'atelier.

Le quali recitano frasi armoniose, come: "La bellezza è una trappola in cui ogni uomo sarebbe felice di cadere" oppure "Pensa a tutta la bellezza ancora intorno a te e sii felice!".

Dalla cima delle scale, quasi a guardia dell'ingresso, un pannello di ceramica artistica mostra un gattopardo accovacciato, a simbolo del nome dell'atelier dell'architetto Pantuso "Le stanze del gattopardo".

Ed un altro pannello, appena superata la porta di accesso, riporta una splendida decorazione di rose e la seguente poesia di Hermann Hesse: La rosa purpurea.

Ti avevo cantato una canzone.
Tu tacevi. La tua destra tendeva
con dita stanche una grande,
rossa, matura rosa purpurea.

E sopra di noi con estraneo fulgore
si alzò la mite notte d'estate,
aperta nel suo meraviglioso splendore,
la prima notte che noi godemmo.

Salì e piegò il braccio oscuro
intorno a noi ed era così calma e calda.
E dal tuo grembo silenziosa scrollasti
i petali di una rosa purpurea.

Il nome della galleria è tuttavia ben evidenziato sull'insegna a forma di mezzaluna installata sulla sommità della sua apertura, lato piazzale Ungheria, ed ornato con un ramo di rose rosse.

Sembra di entrare in un altro mondo, mentre invece l'incuria e l'abbandono del piazzale sono proprio ad un passo da essa.

Un piazzale che sorse sulla zona dell'abbattuto palazzo Notarbartolo di Villarosa, a cui forse si ricollega la denominazione della galleria.

Un piazzale che dovrebbe essere un vanto per la nostra città, in cui si eleva il noto grattacielo e che oggi funge soprattutto da parcheggio per autovetture e da rifugio per i senzatetto, spesso esposti ad ogni pericolo, come è purtroppo accaduto di recente.

Un piazzale che andrebbe rivalutato, custodito e protetto nel quale la Galleria delle rose testardamente lancia invano ogni giorno ed ogni notte i suoi messaggi di bellezza.
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