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Pietro Pisani, l'uomo dei matti di Palermo: storia della rinascita che conquistò l'Europa
Quell'uomo firmava molte delle sue lettere chiamandosi il primo dei pazzi di Sicilia, e forse solo un pazzo avrebbe potuto compiere quell'opera: un centro all'avanguardia
Ingresso della Real Casa dei Matti a Palermo
Quando giunse davanti al grande cancello, l'abbandono che si trovò davanti era sconvolgente: i rampicanti, l'erba selvatica e i rovi infestavano per intero il giardino; superata la porta d'entrata la sua impressione non poté che peggiorare: le stanze sembravano gabbie che dovevano accogliere animali feroci e non esseri umani. Gli ammalati stavano distesi su pagliericci sudici o a terra, chi nudo, chi coperto da stracci cenciosi, tutti erano incatenati come bestie appunto.
Ricoperti da insetti e parassiti, pativano fame, sete e ogni tipo d'umiliazione. Tenevano gli occhi fissi su ogni nuovo visitatore, spaventati che questo fosse portatore di nuove torture, gridando come ossessi e agitandosi a volere rompere le catene che avevano ai polsi e alle caviglie; altri chiedevano pietà, mostrando i segni e i lividi che avevano su tutto il corpo. Se l'uomo ben vestito e con la barba avesse sentito descrivere quel luogo, non avrebbe creduto alla sua esistenza, ma la Real Casa, egli l'aveva vista con i suoi occhi.
Bisogna anche aggiungere che nutriva un profondo disprezzo nei confronti dei medici, soprattutto dopo la morte del suo secondogenito, figlio che avrebbe potuto esaudire le sue aspirazioni da musicista, e che secondo lui non era stato ben curato. Ma tant'è che il nuovo luogotenente del regno, ritenendolo «per disposizione di cuore e per esattezza nell'adempimento del dovere», lo nominò deputato alla Real Casa dei Matti.
L'uomo non aveva più dalla sua l'entusiasmo della giovane età, aveva superato, infatti, i sessant'anni, ma accettò l'incarico come una missione. Iniziò approvando le Istruzioni per la novella Real Casa dei Matti. «Non più catene, non colpi, non tormenti, non ingiurie, non derisione, non fame, non disprezzo» era scritto nel regolamento, solo due delle pratiche impiegate negli altri manicomi d'Europa sarebbero state usate: venir rinchiusi nella propria stanza e la camicia di forza.
I malati dopo la sveglia, pulivano il proprio alloggio, assistevano alla messa e venivano visitati dai medici, poi lavoravano fino all'ora di pranzo, avevano un'ora di riposo pomeridiano se era inverno, tre d'estate e ancora lavoro fino a cena, con la quale aveva termine la giornata. Era il lavoro dunque la miglior medicina per l'alienazione mentale.
Ai pazienti venivano dati buoni vestiti, erano trattati con umanità e cortesia, e ricevevano pasti di qualità superiore alla media della classe popolare in città. Furono loro stessi a ristrutturare l'edificio, ma fu nel parco che poterono realizzare il grande progetto dell'uomo che aveva preso le redini della Real Casa: cascate artificiali, voliere di uccelli canori, affreschi, statue e una piccola parte allestita a giardino cinese. Più che in una casa di cura pareva d'essere in una meravigliosa villa gentilizia.
Quell'uomo firmava molte delle sue lette chiamandosi il primo dei pazzi di Sicilia, e forse solo un pazzo avrebbe potuto compiere quell'opera, trasformando un luogo dimenticato dagli uomini e da Dio in uno dei centri per la sanità mentale all'avanguardia in Europa.
Alexandre Dumas scrisse che anche il conte di Montecristo avrebbe voluto investire le sue ricchezze per la costruzione di un manicomio di quel tipo. L'uomo capace di tutto questo, morì nel giugno del 1837, non fuggì in campagna per scampare al colera, ma rimase in quella che riteneva la sua dimora, la Real Casa dei Matti. Barone di nascita il suo nome era Pietro Pisani.
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