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Occhio alle maledizioni: chi è lo spettro tormentato che vaga nel castello di Caccamo

Tra i corridoi e le stanze della fortezza si agitano fantasmi e spettri, delle presenze tormentate e inquiete che richiamano la storia antica del castello. Scopriamo chi erano

  • 20 settembre 2020

Il Castello di Caccamo

Svetta magnifico e poderoso su una rupe circondata da alti rilievi nella cornice di un paesaggio senza eguali, il castello di Caccamo. È tra i più belli della Sicilia, con Sperlinga e Mussomeli, imponente e dei meglio conservatisi fino ai nostri giorni.

A dargli ancora maggiore fascino sono, senza dubbio, le leggende dei misteri e dei fantasmi che si agitano fra i corridoi e le stanze della fortezza, presenze tormentate e inquiete che richiamano la storia antica del castello.

Costruito a scopo difensivo e divenuto, nel corso dei secoli, dimora nobiliare e rifugio, posto su un roccione alle pendici del Monte Rotondo da cui si domina tutta la valle che sovrasta il fiume San Leonardo e la diga Rosamarina, si ritiene che il castello di Caccamo fosse stato costruito come fortezza o torre d’avvistamento di matrice araba, per cui i suoi elementi normanni sarebbero da riferire a un periodo successivo all’arrivo sull’Isola di Goffredo De Sagejo al seguito di Ruggero il Normanno nel 1093.
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In seguito il maniero passò nelle mani di Matteo Bonello, ed è proprio a lui che sono legate alcune delle leggende popolari sul luogo. Figura autentica, affondata nella storia di quelle contrade, durante la notte di San Martino del 1160 Matteo Bonello - con l’aiuto di altri complici - compì un attentato contro Maione da Bari, il primo ministro del re Guglielmo il Malo.

Fu un'inversione dei suoi propositi, dacché Bonello, che come feudatario era stato leale alla corte, intese causare una rivolta contro il regno raccogliendo l’ostilità che serpeggiava sottotraccia tra i nobili siciliani. Tutto andò per come avrebbe dovuto nei piani di Bonello, con il Primo Ministro Maione morto e il Re incarcerato.

Non prevista fu la reazione del popolo, che, temendo la sommossa, si schierò dalla parte del sovrano liberandolo dalla prigionia e restituendogli il trono. Bonello e i feudatari suoi complici, spacciati, si rifugiarono all’interno del castello di Caccamo, protetti da una solida cinta muraria, e per qualche tempo ebbero salva la vita scongiurando la vendetta di Guglielmo.

La fortezza era inespugnabile, e inutili furono i tentativi di assalto dell’esercito, così il Re dovette giocare d’astuzia per averla vinta. Invitò a corte Bonello, con la falsa promessa di un perdono delle sue colpe, e questi – caduto nella trappola – finì per essere incarcerato e torturato, e gli furono strappati gli occhi e recisi i tendini d’Achille, finendo i suoi giorni tra la fame e la sete.

E laddove muore l’uomo, prende vita (incorporea) il fantasma. Con l’andatura lenta e le orbite vuote, raccontando i segni estremi delle sue mutilazioni, lo spirito di Matteo Bonello vaga astioso per gli ampi saloni della fortezza, incutendo timore con la sua figura minacciosa e carica di odio. Si trascina tra mille tormenti lanciando una maledizione ai discendenti di coloro i quali lo tradirono condannandolo a una morte orrenda.

La sua triste figura, fatta di cenci di cuoio, è nel racconto di alcuni anziani del paese, e pare anche di alcuni visitatori, che lo localizzano soprattutto nella cosiddetta «Sala della Congiura», mentre la si percorre a un tepore che disappare volgendo al freddo, e altrove se ne vede la sagoma a una finestra camminando con il capo chino e i pugni chiusi, ammutolito se non per le infrequenti grida che latra come un animale ferito nel ricordo delle atroci torture inflitte.

Il fantasma di Matteo Bonello, tuttavia, contende la sua presenza solitaria a un altro spettro intorno al quale sono maturate altrettante sinistre leggende. Pare che una bellissima ragazza, figlia del Signore del castello, si fosse innamorata di un soldato. Disapprovati dal padre e scoperti in un colloquio d’amore, furono entrambi destinati a una punizione esemplare: il soldato ucciso, e la bella fanciulla monacata in un convento dove, per il troppo dolore, morì.

La pena d’amore varca le soglie del tempo, e da quel giorno, ogni notte di plenilunio, si racconta che la suora vaghi per il castello con una melagrana in mano, e chi riesca a mangiarla senza toccarla con le mani e senza farne cadere un solo chicco troverà un’immensa fortuna, oppure sarà condannato anche lui a un eterno vagare come l’infelice suora.

Sia come sia, che prevalgano gli intrighi di potere o la mestizia dell’amore ferito, tra le stanze del castello di Caccamo si avvertono la presenza del mito e della storia, a un angolo di roccia o fra le grate degli scuri, percepiti o scorti a coda d’occhio, d‘intorno a una campagna di fichi d’India irti e spinosi come spaventapasseri al sole.
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