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Misteri che sono sotto gli occhi di tutti: a Messina c'è una fontana che "svela" segreti

Apparentemente rappresenta il rapporto tra la Messina e il suo presunto fondatore, ma in realtà la Fontana di Orione significa molto di più. La sua storia

  • 11 marzo 2023

Fontana di Orione a Messina

Da quasi mezzo millennio con i suoi bianchi marmi risalta nella Piazza del Duomo, autentico simbolo della nostra identità e uno tra i pochi lasciti del nostro passato rimasti intatti tra le devastazioni che questa città dallo spirito di fenice ha subìte, la Fontana di Orione, o Fonte d’Orione, apparentemente rappresenta il rapporto tra la Messina e il suo presunto fondatore, ma in realtà significa molto di più.

Più che fondatore, Orione va riconosciuto come l’edificatore di Messina.

Da Diodoro Siculo, nativo d’Agira, sappiamo che il gigantesco eroe avrebbe costruito il porto dell’antica nostra Zancle – fondata nel 1765 a.C. stando alla cronologia di Eusebio (san) Girolamo – dandogli una forma più definita, erigendo anche il sacrario a Poseidone sulla sommità del Peloro, come narrava Esiodo.

Che l’antico storico siciliano taccia sulle origini di Orione e sulle altre sue imprese lascia suggestivamente pensare alla versione che Giovanni Boccaccio riportò nella Genealogia deorum gentilium dal mitografo latino Teodonzio, in cui l’eroe è siciliano e figlio di re.
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Ci sarebbe anche un’interpretazione astrologica: Messina sarebbe stata fondata quando la costellazione di Sirio – il cane di Orione – era visibile nel firmamento.

Il monumento dedicato a Orione fu costruito tra 1547 e 1553 dal Montorsoli, allievo di Michelangelo, che in quegli anni operava a Messina al servizio del suo governo repubblicano, la Giurazia, su commissione della stessa, la cui sede, il Palazzo Senatorio nuovo, dava sulla stessa piazza della Cattedrale di Santa Maria la Nova: è una fastosa opera scultorea di propaganda della Nobilissima Messina e del Popolo Mamertino, che in quel periodo toccavano l’apice della potenza e dello splendore.

Invero, l’ideatore della fontana, nell’estetica e nel significato, fu il grande Francesco Maurolico, astro del Rinascimento messinese la cui fama ha raggiunto il cielo (un cratere della Luna porta il suo nome).

Osserviamo e descriviamo questo monumento nei suoi bellissimi particolari.

Il primo livello, alla base, è dominato da quattro dèi fluviali dall’aspetto di uomini barbuti, sotto a ciascuno dei quali sta un basso rilievo fiancheggiato da due statue di creature fantastiche: il Nilo ritratto sotto ai piedi delle Piramidi affiancato da cavallo e vacca, il Tevere accompagnato dalla scena di Romolo e Remo allattati dalla Lupa con a fianco un leone e un grifone, l’Ebro con il mitico Giardino delle Esperidi e un cane e una leonessa che lo affiancano, il Camaro raffigurato anche sotto mentre viene ricevuto dalla personificazione di Messina tra due sfingi femmina e maschio.

I bassorilievi dei fiumi sono intervallati da due bassorilievi per volta ritraenti scene mitologiche implicanti metamorfosi e tratte appunto dalle Metamorphōseis di Ovidio.

Narciso che annega nel lago ove s’è specchiato e diventa l’omonimo fiore, il cacciatore Atteone trasformato in cervo da Diana per averla vista al bagno, Pegaso che nasce dal sangue di Medusa decapitata, Zeus mutato in Toro (il segno zodiacale) cavalcato dalla principessa Europa sulle acque, Icaro alato che precipita in mare e diventa una sola cosa con esso che prende il nome d’Icario.

E poi Elle che inavvertitamente cade dal Crisomallo (il famoso Ariete dal Vello d’Oro) in volo e si fonde con l’Ellesponto che prende il nome da lei, il pastore Aci ucciso dal ciclope Polifemo che diventa l’omonimo fiume siciliano, il dio Vertumno che assume ogni forma per sedurre la dea Pomona.

Il secondo livello, sopraelevato dal primo dallo sforzo di sirene e massicci tritoni, e meno complesso, raffigura bellissime Ninfe che a loro volta sorreggono il piano superiore, come poste tra la Terra/Acqua e il Cielo, non del tutto terrene ma nemmeno celesti.

Il piano più alto è occupato puttini cavalcanti delfini che innalzano il piedistallo ove s’erge Orione, ritratto in armatura ellenistica e posa imperiosa, con lo scudo araldico di Messina e accompagnato dal fedele cane Sirio: entrambi importanti costellazioni.

Il significato delle metamorfosi scolpite nella base va ricercato nel pensiero neoplatonico. Le trasformazioni hanno tutte a che fare con l’elemento Acqua (eccetto quella di Vertumno) che dunque appare come agente di mutamento grazie alle infinite forme ch’è in grado di prendere.

Neoplatonico è anche il significato dei tre piani della fontana, che si possono ravvisare nelle dottrine insegnate dal filosofo egizio Plotino.

I tre livelli corrispondono alle ipostasi, ovvero come l’Uno, la divinità, emana “il tutto”, divenendo prima Nous, cioè l’intelligenza divina, e infine l’Anima Mundi con cui si dispiega in universo e nei viventi e che a sua volta genera la materia inerte.

La base della Fontana rappresenta il mondo del corpo o materia (Soma), soggetto a perenne mutamento, la parte intermedia di deità acquatiche è l’Anima o Psyche che dà vita al mondo e lo alimenta tramite la metafora delle acque che sgorgano, infine più in alto è lo Spirito superiore divino (il Nous) nonché Iperuranio, rappresentato in forma androgina “totalizzante” come Orione e Sirio che nell’astrologia egizia sono Osiride e Iside, tralasciando l’Uno ancor più in alto di per sé irrappresentabile.

Fonte di questa esegesi è in gran parte l’illuminante saggio di Attilio Russo "L’Accademia della Fucina di Messina" in Archivio Storico Messinese 73.

Forse c’era l’Accademia della Fucina dietro la realizzazione di questo monumento (le parole scolpite in corrispondenza del Camaro “formas vertit in omnes” furono poi il motto del sodalizio neoplatonico), nata ufficialmente nel 1639 ma che forse appunto già esisteva in forma segreta, e della quale forse gran parte delle attività, come quelle dell’Accademia della Stella, continuarono a rimanere segrete.

Avevano segreti inimmaginabili i nostri antecessori che forse non sapremo mai, e chissà quanti ne abbiamo sotto gli occhi senza intenderli.

Ma c’è un altro significato criptato – non troppo tuttavia – patriottico e propagandistico che si può comprendere osservando quali sono i fiumi e l’ordine in cui sono disposti: girando in senso antiorario troviamo il Nilo, il Tevere, l’Ebro e il Camaro, rispettivamente fiumi – e numi – che hanno nutrita la civiltà egizia, la romana, la spagnola e – udite udite – la mamertina-messinese.

Gli ideatori del monumento anticiparono il concetto di filosofia della storia (espresso poi da Hegel) di Spirito della Storia che si sviluppa incarnandosi negl’imperi che di volta in volta si succedono e lo portano a staffetta, e così primo tra tutti troviamo l’antico Egitto, poi l’Impero Romano, ancóra le Spagne, tutti susseguitisi con un certo distacco di secoli l’un dall’altro ma con influenze durature.

E Messina? Messina doveva essere la quarta civiltà imperiale tra quelle, ecco cosa intendeva illustrare questo schema.

Il nostro popolo cade dalle nuvole sentendolo dire; oggi questo messaggio invero abbastanza evidente appare così incomprensibile, alla luce della storia recente, da passare completamente inosservato, ma i Messinesi del XVI secolo avevano ben nitido il proprio futuro: divenire la prossima civiltà dominante nella storia, ovviamente portando con sé la Sicilia e la Calabria.

Il Fonte d’Orione rappresenta l’investitura provvidenziale e la volontà di potenza di Messina, la sua corsa verso una sua età felice di dominio, che fu arrestata violentemente dalla sua caduta nella guerra contro l’Impero Spagnolo nel – non troppo lontano – 1679, ma che non è mai detto non possa mai più rinvigorirsi.

Nella trilogia fantascientifica di romanzi dello statunitense Ben Bova, denominata The Exiles Trilogy, Messina è la capitale d'un governo interstellare nel XII secolo (dunque tra un centinaio d’anni).

Chissà. Tanti sono i misteri su questo monumento messinese appena illustrato, e questi sono soltanto i più comprensibili.
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