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Teatro Massimo, una crisi che sa di maledizione

  • 6 febbraio 2006

C’è tensione attorno al teatro Massimo. La prima del “Ratto del serraglio” saltata per protesta è solo la punta dell’iceberg. Sotto accusa la gestione amministrativa del Teatro. Il sovrintendente Cognata, a seguito dei tagli al Fondo Unico per lo Spettacolo, blocca i piani di stabilizzazione e propone l’annullamento dell’attività estiva del Verdura e di due date della prossima stagione. Dal suo punto di vista c’è poco da fare perché il decreto Asciutti (dal nome del senatore relatore) impone il blocco delle assunzioni, per cui operare una proroga ai precari è il massimo che si possa fare. I sindacati non ci stanno e vedono in questi tagli sulla produzione l’inizio del declino. Infatti il Fus è ripartito tenendo conto delle attività svolte, per cui meno produzioni significa meno contributi. Il timore è che si possa attivare un trend negativo che porti a una nuova chiusura del Teatro.
«Il Libersind, che raccoglie i lavoratori maggiormente penalizzati dalla situazione, con la solidarietà di parte della Cisl, ha provocato un danno alle nostre finanze - fanno sapere dal Teatro Massimo - Non abbiamo potuto annullare la data e siamo stati costretti a rimborsare il pubblico oltre pagare tutte le spese, come se il concerto si fosse tenuto». La Cgil sin dall’inizio ha tenuto un atteggiamento propositivo: «Ci rendiamo conto della situazione – ha detto Franco Salvaggio, responsabile Slc Cgil – e siamo pronti a fare sacrifici pur di mantenere le produzioni. Noi abbiamo raschiato il barile, adesso tocca alle istituzioni fare qualcosa». La Fistel Cisl, rappresentata da Ferdinando Caruso, ha chiesto ripetutamente le dimissioni di Cognata e della sua squadra. Caruso afferma anche che questa è la crisi più grave di tutte quelle vissute dal Teatro. Si mira a salvare l’attività del Verdura: i lavoratori sono comunque pagati per cui, rinunciando all’indennità, alleggeriscono il bilancio. Al momento si tratta e monta la tensione.

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Ma la tensione è qualcosa che caratterizza peculiarmente il Teatro sin da quando è stato concepito. Tanti anni per affidare i lavori al Basile e ben 23 anni, nel corso dei quali muore lo stesso architetto, fra la delibera del consiglio comunale e la Prima. Ma è un successone. Attorno al suo teatro si stringe la popolazione eleggendolo a supremo orgoglio cittadino. Il Teatro, secondo per grandezza in Europa solo all’Opera parigina, è centro europeo di fermento culturale. Sopravvive ai bombardamenti della guerra, viene escluso esplicitamente nelle mappe dei bombardieri americani, e continua la sua attività fino al 1974 quando è necessario un adeguamento alle nuova legislatura in materia di sicurezza. Da questo momento comincia il periodo scuro del Teatro che, segno dei tempi, viene abbandonato dal disinteresse politico attorno alla più grande macchina di cultura della città. Diventa una battuta scherzosa, qualcuno dice: «Ti pagherò quando riaprirà il teatro Massimo», ma diventa anche il simbolo dello scetticismo cittadino, della scarsa fiducia dei palermitani nei confronti delle istituzioni. È il 12 maggio 1997 quando Leoluca Orlando, sindaco di Palermo e grande catalizzatore della riapertura, può annunciare: «Ce l'abbiamo fatta. Il Teatro Massimo riapre e non chiuderà più». E anche questa volta, come la prima, è un grande successo al quale partecipa tutta la popolazione cittadina. La città ha di nuovo il suo simbolo culturale e così festeggia una nuova primavera. Sono gli anni in cui Attilio Orlando guida il Teatro avvalendosi della collaborazione di Cognata, economista. Ma è la gestione di Giambrone, dal 98 al 2002, a dare uno slancio decisivo all’attività del Teatro. Grandi eventi, rilancio dell’immagine del Teatro a un livello internazionale, apertura dell’attività estiva al Teatro di Verdura, grandi impegni, presi con qualche rischio, che però ripagano. Anche i bilanci del Teatro chiudono in parità se non in attivo, pure se di poco.

Col cambio dell’amministrazione comunale, e l’insediamento di Diego Cammarata come nuovo sindaco, nel 2001 Giambrone viene confermato ma privato della sua squadra, per cui ringrazia per la fiducia ma lascia. Al suo posto arriva Desideri che gestisce il Teatro con la collaborazione di Armao. Da qui comincia la fase di declino: il Teatro cambierà ben tre sovrintendenti in quattro anni. Ci si trova di fronte a uno scoperto contabile di 26 milioni di euro. Inoltre, dicono Caruso e Salvaggio, comincia una gestione definita «non propria»: consulenze, gettoni di presenza, affidamento di lavori in appalto esterno, assunzioni politiche. Il 7 agosto del 2003 viene siglato un accordo fra il Teatro e i sindacati che prevede la stabilizzazione di precari e l’assunzione di nuovi con un progetto di stabilizzazione da spalmare in tre-quattro anni. I lavoratori precari accettano di ricevere un compenso inferiore rispetto ai colleghi stabilizzati e tagli sul comparto promozionale. Al dicembre 2003 Desideri è costretto a lasciare, seguito da Armao, e a dirigere il Teatro è chiamato Carriglio, già direttore del Teatro Biondo, considerato più competente in materia artistica. Dura un anno alla fine del quale è costretto a lasciare, pagando la sua "bivalenza". Si arriva così all’attuale dirigenza che vede alla sovrintendenza Cognata, «accolto con favore – dice Caruso – proprio in merito alla sua precedente esperienza». Secondo il Teatro Massimo l’operato dell’attuale sovrintendente ha comunque dato segnali positivi: novecento abbonati ai concerti, aumento del 10% di quelli delle opere e dei balletti. Il Teatro Massimo è un patrimonio culturale della cittadinanza prima ancora dei lavoratori e dei funzionari. Tutti devono far sì che esso continui il suo ruolo guida nella cultura a Palermo.

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