TEATRO
“Sogni di una notte di Palermo”, Benassai incanta l’Agricantus
Dialetto e musica diventano un tutt′uno, il risultato è voci, colori e suoni della Palermo che tutti i giorni attraversiamo e viviamo
Travolgente Paride Benassai in “Sogni di una notte di Palermo”, che è andato in scena lo scorso weekend all’Agricantus di Palermo (via XX settembre 82/a) per la rassegna “Homo Ridens”, e che sarà in replica dal 27 al 29 febbraio alle ore 21.15 (biglietto intero 10 euro, ridotto Cral e IdeaNet 7 euro). Benassai incanta il pubblico, si immerge fra la gente e la coinvolge nel suo canto folle. Dialetto e musica (Mandreucci alla chitarra e Innocenzo Bua alla fisarmonica) diventano un tutt′uno, il risultato è voci, colori e suoni della Palermo che tutti i giorni attraversiamo e viviamo, la Palermo dell’anima, ma è anche una finestra sul mondo. Lo spettacolo si articola fra canzoni e monologhi, e pian piano si ha davvero la sensazione di ritrovarsi fra i vicoli della città: “Donne, è arrivato l’arrotino!”. Si incontrano personaggi strani, come quello di Palino, che crede di essere “la 107”, o ci si confronta con gli aspetti più duri della nostra società, quando Benassai ci narra la morte di Turiddu Carnevale, il pubblico è scosso, ride e si commuove, riscoprendo la propria identità. Paride Benassai si intrattiene con noi di Balarm, che, come sempre, vogliamo saperne un po’ di più…
«Questo spettacolo parla della vita di tutti i giorni, è una finestra che si apre su una qualsiasi via della città e al contempo del mondo, descriviamo Palermo ma allo stesso tempo potrebbe essere un altro luogo. E′ il quotidiano, con le sue voci, gli odori e i colori, che parla e ci racconta di noi, di come siamo, è un fiore, un volto, tutto quello che ci passa davanti e che spesso non notiamo.»
Lingua e musica possono fondersi e diventare un tutt′uno. Ritieni la lingua palermitana musicale?
«Molto, senza dubbio. Il dialetto palermitano ha una gran forza, ho portato questo spettacolo a Bolzano, e lì inizialmente ci siamo scusati, perché parlando nella nostra lingua sicuramente non avrebbero capito tutto. Il risultato è stato eccezionale, a fine spettacolo si sono alzati tutti in piedi, altroché se hanno capito. Terminati gli spettacoli all’Agricantus ci sposteremo a Roma.»
I brani recitati e cantati sono tuoi?
«Le canzoni nascono dalla collaborazione con Mandreucci e Bua, i brani sono miei e in più ci sono frammenti di Salvo Licata e “La morte di Turiddu Carnevale” è di Ignazio Buttitta.»
In merito alla polemica e protesta portata avanti da Assoteatri contro il comune, in rappresentanza dei teatri privati di Palermo, cosa mi dici? C’è stata una risposta da parte dell’amministrazione comunale o del sindaco Cammarata?
«Assolutamente no, la situazione è sempre più complicata. Abbiamo un sindaco che non fa altro che sorridere ma non si capisce di che cosa. Vorrei protestare ufficialmente contro l’assessore comunale Puglisi che, giorni fa, si è rifiutato di ricevermi, adesso tenterò con Cammarata, se anche lui si rifiuterà farò un casino. La questione è semplice, è stato fatto un passo indietro nella gestione della cultura e dell’arte palermitana, si finanziano solo amici e sostenitori del partito al potere, la lotta è impari, o i fondi si mettono a disposizione di tutti o di nessuno. Orlando ha avuto il grande merito di far rivivere l’arte palermitana in passato, adesso bisogna andare quasi a mendicare il finanziamento per lo spettacolo. Io faccio teatro da ventisette anni, il problema è che loro di arte e cultura non si interessano affatto, né tanto meno ne capiscono qualcosa. Per non parlare del fatto che la vita culturale di Palermo è diventata un appalto per gente che viene da ovunque, tranne che per i siciliani, come se qui da noi non ci fosse nessuno capace di gestire le attività artistiche, così è stato per il festino o per la scorsa stagione estiva. Visto che Berlusconi ha stretto la mano a Cammarata , adesso sindaco e amministrazione in qualche modo devono ricambiare “l’affetto”, chi gestisce l’appalto riceve un sacco di soldi, e agli artisti rimane davvero poco.»
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