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Se i "Fascisti" siamo noi

  • 20 novembre 2006

Fascisti su Marte
Italia, 2003
di Corrado Guzzanti
con Corrado Guzzanti, Andrea Blarzino, Marco Marzocca, Lillo Petrolo, Andrea Purgatori, Andrea Salerno

Occorre sgomberare il campo da una serie di equivoci che potrebbero contribuire a non far comprendere e apprezzare appieno il debutto al “cinematografo” di Corrado Guzzanti, il migliore (il vero? L’unico?) autore satirico che negli ultimi tempi la televisione italiana abbia avuto l’onore d’ospitare (seppure sempre in forma tangenziale e anomala). Primo: chiedersi se “Fascisti su Marte” sia cinematografico, se si adatti di più al grande o al piccolo schermo, se l’uscita nelle sale sia inquadrabile unicamente nell’ottica della trovata pubblicitaria organizzata per la Festa di Roma, tutto questo è un falso problema.

In primo luogo perché ultimamente al cinema è passato di tutto, anche roba che non possiederebbe i requisiti minimi di dignità per essere etichettata come Settima arte (comprese molte produzioni italiane che rubano temi, stilemi e interpretazioni dalla fiction per la tv). Ma soprattutto perché ciò che definiamo “cinema” oggi assume un significato molto diverso rispetto a ciò che s’intendeva con questa parola anche solo una decina d’anni fa. Ci troviamo ormai di fronte a un mezzo espressivo totalmente svincolato da un suo supporto specifico. Se la modalità di fruizione ritenuta ancora adesso più “nobile” rimane la sala (ma fino a quando?), in realtà i film si consumano prevalentemente con modalità diverse: tv satellitare e digitale, mercato home video, pc, telefonino, Ipod e Playstation portatile.

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La struttura delle opere cinematografiche prossime venture sarà probabilmente “modulare”: scomponibile in tante unità minime, da guardare anche indipendentemente, tanti piccoli sketch legati solo debolmente a un contesto generale (vedi il dilagante fenomeno di Youtube su internet). Altro che archeologia visiva: in un’ottica di questo tipo “Fascisti su Marte” è quasi avanguardia sperimentale (il ricorso agli effetti digitali e la presenza massiccia dell’animazione dovrebbero far riflettere a riguardo).

“Fascisti su Marte” parte dalla televisione (suo luogo d’origine, cui è riconducibile pressappoco la prima metà del film), approda al cinema (il citazionismo insistente – dai monoliti kubrickiani ai cappottini rossi spilberghiani, da testoni del duce che fanno tanto “Amarcord” alle amazzoni venusiane da B-movie – della seconda parte) per arrivare a contaminare il tutto con inserti anomali: cartoon di finta propaganda, animazioni digitali, digressioni oniriche e immaginarie, collage con immagini documentarie.

Ma c’è anche un secondo errore di prospettiva: il film di Guzzanti non mette alla berlina la società e la cultura fascista, ma quella in cui viviamo oggi. E non è solo l’epilogo finale con i ritratti di Andreotti, Cossiga e Licio Gelli e con il monito conclusivo di Barbargli a ricordarcelo. Come l’ideatore de "Il caso Scafroglia” ha dichiarato più volte alla conferenza stampa di presentazione del film e in altre occasioni pubbliche, “Fascisti su Marte” parla di noi. Dell’Italia di oggi e della democrazia mancata in cui continua a essere impantanata. Dei misteri mai svelati che tormentano la nostra storia. E della manipolazione dell’informazione cui siamo continuamente sottoposti.

Certo, la presa in giro nostalgica e archeologica è una delle attrattive principali e il motore essenziale delle gag. La ricostruzione linguistica e (pseudo)storica è stata perseguita con impegno e meticolosità, ottenendo una riproduzione quasi perfetta del gergo da camicia nera (e non è impresa facile come potrebbe a prima vista sembrare). Anche la ripresa dei riferimenti culturali del Ventennio è attenta e rigorosa (basta accennare ai deliranti discorsi sulla difesa della razza o alla ridicola mania di italianizzare ogni parola: perfino “flashback” diventa “dietrolampo”).

Ma ci si può rendere conto della portata veramente dissacrante e dirompente del messaggio guzzantiano soltanto se trasfiguriamo l’espressione bovina e interdetta del gerarca Barbagli con quella di un qualunque capo di governo della Seconda Repubblica. Più Berlusconi (spassosissime le allusioni alle “grandi opere”, ai poliziotti di quartiere, ai rimpastoni di governo, alla politica guerrafondaia come diversivo e scusante per i problemi reali del paese) di Prodi, ma alla fine non è che cambi poi tanto… In ogni caso davvero un’impresa coraggiosa e ardita, matta e disperatamente divertente.

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