ATTUALITÀ
Palermo ieri e oggi: intervista a Roberto Alajmo
A vent'anni dalle stragi del '92 Roberto Alajmo presenta la ristampa di “Un lenzuolo contro la Mafia” e ci racconta la Palermo d'oggi e quella del passato
Il posto è lo stesso in cui Paolo Borsellino tenne il suo ultimo discorso pubblico. Nell’atrio della Biblioteca di Chiesa del Gesù (Casa Professa), a chi si era trovato in quella corcostanza memorabile si chiede di alzare la mano e tanti lo fanno: sono magari volti vissuti, teste canute dal tempo ma l’impegno è quello di sempre, lo stesso che li ha portati ad alzare la voce.
L’occasione per ritrovarsi è la presentazione della ristampa per Navarra Editore, del libro “Un lenzuolo contro la Mafia” di Roberto Alajmo, testo già pubblicato nel 1993 per raccontare il progetto nato dal Comitato dei Lenzuoli, movimento di protesta messo sù da un gruppo di amici per dare una rappresentazione fisica allo sdegno e alla rabbia provocati dalle stragi della violenta estate del '92.
Da lì, l’idea di utilizzare un lenzuolo come simbolo: "velo alla scompostezza della morte violenta, lo abbiamo lavato e candeggiato e appeso ai balconi delle nostre case". E anche per chi era troppo giovane per ricordare, appare subito chiara l’onda emotiva che ne seguì, la partecipazione mossa da rabbia e commozione che vide snodarsi la catena umane dal Tribunale a via Notarbartolo, la marcia del 27 giugno del ’92 “Italia parte civile”. Per la prima volta i telegiornali smisero di puntare gli obiettivi sui cadaveri e si girarono dall’altra parte, puntando sull’antimafia.
Al di là della memoria storica, condivisa da tutti, c’è una sua personale memoria di quell’estate tragica e dei giorni degli attentati di Falcone e Borsellino?
Tutti quelli che hanno più di dieci anni ricordano dov’erano il giorno dell’attentato della strage di Capaci perché rappresenta una pietra miliare della storia collettiva ed individuale come la morte dei Kennedy a livello internazionale, come la crisi dei missili di Cuba, come il primo uomo sulla luna. Per noi italiani ci sono queste due tappe ravvicinate che sono il 23 maggio ed il 19 luglio 1992. Tutti sicuramente sanno dov’erano ed in qualche modo la loro storia si distingue anche in un prima ed un dopo il 1992. Io era in vacanza e non essendoci telefonini appresi la notizia tre ore dopo. Ero a San Vito Lo Capo completamente isolato e andando a cena accendemmo la radio dell’automobile. Sentii Saverio Lodato che in un’intervista parlava di Giovanni Falcone al passato. Lì ho capito che era morto.
Lei ha una licenza di tutto rispetto, propria degli scrittori oltre che dei bari, e che è quella di poter raccontare storie false spacciandole per vere. A noi che stiamo ad ascoltare, qual è la più grande bugia che ci è stata raccontata?
Ci è stato detto che da una parte c’è lo Stato e dall’altra la Mafia. Questa contrapposizione frontale non risponde a realtà per il semplice fatto che la compenetrazione tra Stato e Mafia, vent’anni anni fa come oggi, è molto maggiore di quello che nella vulgata si è portati a credere e che ci viene raccontato. C’è un problema di permeabilità, si dice fuori la Mafia dallo Stato ma in certi periodi si sarebbe dovuto dire fuori lo Stato dalla Mafia.
“L’incompiuto” è un concetto che può essere minaccioso o logorante per uno scrittore quanto per un politico. C’è qualcosa di incompleto, non realizzato, che Roberto Alajmo proprio non sopporta?
Sì, la rivoluzione palermitana iniziata nel ‘93 e finita quasi subito. Furono dei mesi molto intensi e che terminarono con una delega anomala. Mentre prima si delegava la lotta alla mafia alle forze dell’ordine, la società civile ad un certo punto, forse perché stanca di guerra e di lutto, decise fare una delega di tipo nuovo, eleggendo per una volta un’amministrazione comunale che era un po’ meglio della società civile stessa. Con l’elezione di Orlando nel ‘93 è come se i palermitani inconsciamente ripiegassero i lenzuoli (simbolo della lotta dell’antimafia in quegli anni, ndr) e li conservassero pensando “Adesso ci sono loro che sono bravi e sono migliori di noi che li abbiamo eletti”. Da questo sentirsi al sicuro deriva la decisione a metter fine al nostro impegno. Non è stato così, perché poi le stagioni politiche passano molto rapidamente e già nel '94 eravamo fritti. Poi l’onda lunga, l’inerzia, portarono l’esperienza della primavera orlandiana ancora avanti fino all’inizio del 2000 ma nel frattempo sì è scoperto che sotto il tappeto era finita un sacco di polvere.
Quali dei personaggi di questa campagna elettorale inserirebbe in una versione aggiornata del suo “Repertorio dei pazzi della città di Palermo”?
Di gran lunga Leoluca Orlando che meriterebbe un numero monografico del “Repertorio”. Fino ad un mese fa io ero il primo a pensare che il suo candidarsi contro ogni logica, fosse una causa persa. Lui è riuscito, attraverso una macchina contagiosa, a coinvolgere metà dei cittadini di Palermo a votare per lui quando tutto sembrava in realtà andare nella direzione opposta.
Dalle pagine del Corriere della Sera Lei ha esposto la tesi del “Megghiu u tintu canusciutu ca u bonu a canusciri” a giustificazione del successo di Orlando nelle recenti amministrative. Dunque è un popolo codardo questo?
Non riesco a parlare in termini di popolo. Le persone migliori e peggiori che conosco sono di Palermo. Palermo è capace di esprimere Totò Reina e Giovanni Falcone, cioè il male e la medicina. Qui si può risolvere tutto, tutta Italia si può risolvere qui, nel bene e nel male.
C’è una scritta o qualcosa che ha letto recentemente, tra manifesti e muri della città, che l’ha fatta sorridere o l’ha amareggiata?
Se devo rispondere senza atteggiarmi ad intellettuale prestigioso, ieri ero con mio figlio ed ho letto su un muro “Ti amo a palla”. Mi è piaciuto molto.
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