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“Non desiderare la donna d'altri”, una storia di guerra e di pace

  • 25 aprile 2005

Non desiderare la donna d'altri (Brødre)
Danimarca 2004
Di Susanne Bier
Con Ulrich Thomsen, Connie Nielsen, Nikolaj Lie Kaas, Bent Mejding, Solbjørg Højfeldt

Bella idea quella dell’uomo forte, capace di affrontare ogni avversità, sicuro delle sue scelte in ogni momento, soprattutto poi quando si tratta di individui addestrati per essere tutte queste cose insieme e altro ancora. Ma è solo un’idea. L’uomo non è così forte come lo si vorrebbe e le contraddizioni dei nostri tempi lo costringono talvolta a prove di inimmaginabile difficoltà. É proprio di questa umana debolezza che il bel film della danese Susanne Bier, ci racconta, ed è un racconto molto femminile, delicato e pacato nell’incedere della triste vicenda, interessato al particolare, incentrato sull’attore, come la tipologia dell’immagine (quei contorni sfumati che danno ancora più risalto al cuore dell’inquadratura) ci mostra. E se la provenienza della regista dalla “scuola del Dogma” del Maestro Lars von Trier risulta evidente dall’uso della macchina da presa a spalla per buona parte del film, (e anche il bravissimo Ulrich Thomsen è di quella scuola), è pur vero però che il lavoro gode del tocco di una squisita personalità muliebre. Questa la storia: il protagonista Michael (interpretato dal Thomsen) ha una bella famiglia, una moglie giovane e carina (la Nielsen), due figlie deliziose e anche i genitori, non troppo anziani, sembrano aperti e cordiali.

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Unico neo a questa normalità standard (da “Ikea” potremmo dire, prendendo spunto dal marchio che ha portato ovunque in Europa quel concetto nordico di arredamento, funzionale e lineare, e che sembra essere presente anche nella casa della famiglia in questione) è il giovane fratello un po’ scapestrato, peraltro appena uscito dalla galera. E qui ci sembra opportuno notare come il titolo originale del film, "Brodre", sia stato tradotto ovunque con "Brothers" (il ben noto fratelli in inglese), ma si sa, l’Italia è il paese della mamma e allora ... ma torniamo alla vicenda. In questa linda (o quasi) normalità, si inserisce (e qui l’acuto sguardo della regista comincia ad insinuare qualche dubbio) anche la professione del nostro Michael, un ufficiale dell’esercito danese, pronto a partire per una missione in Afghanistan, poco dopo che il fratello esce di prigione. La famiglia così riunita non sembra vivere questo evento con particolare ansia: foto di interni di famiglia si susseguono come per una qualsiasi ricorrenza e se non fosse per la figlia maggiore, risentita col padre per la sua imminente partenza, nessuno darebbe particolare risalto alla cosa.

Già questo fa riflettere sulla terribile contraddizione dei nostri tempi (guerra e pace così vicine ma anche così distanti), uno stato di cose che senz’altro mette a dura prova le esistenze, come il povero Michael verificherà sulla propria pelle. Infatti le fonti ufficiali lo daranno per morto, ma in quella missione a morire saranno la sua integrità morale e la sua dignità di uomo. Insomma, sono proprio alti i temi qui trattati, e se da un lato è la crisi della società la risultante (il giovane scapestrato dimostra di non esserlo affatto, l’anziano padre si rivela un alcolizzato, i rapporti familiari sono distrutti, emblematicamente come la cucina), dall’altro è l’uomo che ci appare in tutta la miseria della propria condizione umana, alla quale nessuna tecnologia e nessun corso di addestramento da truppa speciale potrà mai porre rimedio. E allora, oltre alla pietà, è ben poco quello che ci resta. Il film è stato premiato al Festival di San Sebastian con i riconoscimenti per “Miglior Attore” a Thomsen e “Miglior Attrice” alla Nielsen e col “Premio del pubblico” al Sundance Festival 2005.

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