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“Lasciami andare madre”, verità terribili secondo Schneider

  • 18 aprile 2005

Una sarabanda di orrori, quei terribili brandelli di passato che lasciano basiti, annientando l’anima di chi ascolta con la forza di una verità che tutti vorremmo non fosse mai stata, quanto meno per pensare la razza umana migliore di quel che nella realtà è. E invece no, l’essere umano è cattivo, è bene tenerlo a mente, ed è proprio questa la cosa che più turba, conoscere la naturalezza della cattiveria, la sua normalità in una quotidianità assurda fra impensabili atrocità. Una cattiveria al di là di ogni comprensione, mossa da un fanatismo in grado di alimentare la temibile consapevolezza di essere nel giusto, un credo tale da indurre una madre non solo ad abbandonare, senza alcuna esitazione, i propri figli, ancora piccoli, ma anche a commettere crudeltà indicibili senza alcuna remora. E dunque lo sgomento di Helga, sfortunata figlia di una così snaturata madre, diventa il nostro, come nostra è la sofferenza nella quale gli animi versano dopo avere assistito a questo toccante spettacolo. Stiamo parlando di “Lasciami andare madre”, il musikdrama di Lina Wertmüller e Helga Schneider, diretto dalla Wertmüller, tratto dall’omonimo libro - confessione di Helga Schneider, in scena al teatro Bellini di Palermo, nella piazza omonima, fino al 24 aprile, con i due ottimi interpreti Roberto Herlitzka e Milena Vukotic.

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E se quest’ultima, assai brava nei panni di Helga, ci racconta, insieme al costernato dolore, anche dello smarrimento della figlia di fronte ad annichilenti rigurgiti di tardivo amore materno (“chiamami mutti”, le chiede implorante la madre ormai vecchia), è l’eccellente madre di Roberto Herlitzka a stupire e colpire dritto al cuore, portando la piéce verso le alte vette dell’emozione più pura, con le infinite sfumature nei suadenti toni ora grotteschi, ora ironici, ora addirittura comici, incarnando egregiamente nelle fattezze e nella voce un essere privo di ogni umanità nella sua angosciante verità. Al suo apparire, ecco rivelarsi un inquietante impianto scenico tutto intorno il palco (scene e costumi di Enrico Job, lungo le quinte e il fondale una sorta di sculture che richiamano i corpi scheletrici dalle teste rasate dei poveri deportati) in un chiarore improvviso di luci che, ravvivando la tinta color pastello dell’abito della vecchia, infondono un’aria macabra a tutta la scena. Le musiche infine (di Italo Greco e Lucio Gregoretti), talvolta persino stizzose nella loro funzionalità dichiarata al recitar cantando in stile brechtiano, ben sostengono la sarabanda di orrori di cui dicevamo all’inizio, a conclusione della quale è la frase della figlia sconvolta in fuga a definire un “effetto speciale” senza eguali, quel “lasciami andare madre” da cui il titolo del lavoro. Cento minuti circa di spettacolo per non dimenticare, una testimonianza diretta di verità terribili che tutti dovremmo conoscere, per sapere di che cosa sia capace l’essere umano, nella speranza che riesca a migliorare se stesso. Ma questa è cosa che ancora l’uomo non ha imparato a fare, e chissà se ci riuscirà mai.

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