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La Cina delle contraddizioni

Un efficace spaccato dell’arte contemporanea cinese in mostra alla Galleria Mediterranea

  • 7 giugno 2007

Una realtà fortemente contraddittoria, che si articola fra memoria del passato e prepotente futuro, è quella che emerge dalle opere esposte all’interno dell’esposizione “La Cina è vicina”, curata da Eva di Stefano e allestita fino al 1 luglio presso la Galleria Mediterranea a Palermo. La mostra raccoglie opere di sette artisti appartenenti all’avanguardia cinese e nasce nell’ambito di un’indagine sulla situazione dell’arte contemporanea in Cina effettuata dalla curatrice in occasione di un recente viaggio a Pechino. L’impatto visivo per lo spettatore è di grande forza. Lo sguardo è catturato dalla potenza sprigionata dalle immagini, che impongono al visitatore l’immersione affascinata e disorientante in un mondo di variegata ed inquieta complessità. É la storia che s’impone allo sguardo, per la peculiarità del realismo di questi artisti appartenenti alla generazione degli anni’60: un realismo forte e intenso, teso ad uno sguardo critico sul reale, di cui vengono denunciate falsità e mistificazioni; il linguaggio che lo sostanzia é fondato sulla propaganda ed influenzato dal Pop americano. Alcuni degli artisti hanno vissuto in prima persona i tragici eventi della repressione di Piazza Tiananmen (1989) e oggi si confrontano con il disagio ed il malessere di una trasformazione sociale proteiforme ed incontrollata, provocata dalla crescita dell’alienante modello consumistico all’interno del regime comunista. Zhang Dali, costretto ad abbandonare il paese dopo i fatti di Tiananmen, attraverso dipinti, sculture, foto e installazioni fa emergere con forza icastica il tema dello sradicamento dalle origini e della spersonalizzazione dell’individuo di fronte al lacerante progresso metropolitano.

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Di drammatico impatto sono i calchi dei corpi nudi dei lavoratori sospesi al soffitto. Lo stesso tema è raffigurato da Liu Bo Lin con l’installazione “La propaganda come la pubblicità”: figure umane in gesso, acefale, allineate. Le mani rosse di ogni “manichino” coprono gli occhi di quello che sta davanti, a simboleggiare la cecità delle ideologie, così come la serie delle sue fotografie (Scomparsi tra comunismo e capitalismo), in cui l’uomo è completamente mimetizzato nello spazio urbano. Il potere della pubblicità, manipolazione dell’immaginario collettivo, è al centro della ricerca di Liu Xin Hua e Wang Lang, tesa a svelare i paradossi dell’iconografia propagandistica di epoca maoista: l’operazione dei due artisti consiste nell’accostare foto d’archivio, per sottolinearne l’aspetto grottesco e creare un effetto di straniamento. Anche Zhang Nian (illustratore e grafico) prende spunto dai momenti salienti della storia cinese per dipingere in grandi formati scene tratte dal repertorio propagandistico ed enfatizzarle con un effetto flou. Con “Ricordi rossi” la pittrice Ren Hong ripropone la tematica della propaganda: sulle immagini che ritraggono la figura di Mao la pittrice sovrappone una fitta griglia di motivi decorativi. In una diversa ottica, invece, si pone l’opera di Sheng Qi, profondamente segnato dalla violenza repressiva di Piazza Tiananmen: in quel giorno perse il dito di una mano e “vide la speranza mutarsi in massacro” (Eva di Stefano); una mano martoriata, sulla quale è stata inflitta una pena inaudita. Una ferita rosso sangue, un segno indelebile nella memoria di un’intera generazione (La mia mano sinistra). Un’immagine che ha l’impronta di una forte denuncia sociale, che condanna ogni atto di offesa e violenza sull’uomo.

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