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La bellezza salverà il mondo? Non a Palermo

Il sequestro della seicentesca Chiesa di Santa Maria dell'Itria in gravi condizioni di degrado spinge a riflettere sulle bellezze perdute del "giardino incantato"

  • 15 novembre 2012

Ciò che sembra restare oggi dei fasti del “giardino incantato” è poco. A Palermo sono scomparsi quasi del tutto gli edifici di tanta bellezza che - scriveva Erdrisi - i viaggiatori si mettono in cammino attratti dalla fama delle meraviglie che offre qui l'architettura, lo squisito lavoro, l'ornamento di tanti peregrini trovati dall'arte. Le associazioni culturali o gli eventi promossi dal Comune che preservano i beni del territorio fanno notizia, per il semplice motivo che sembra mancare, un po’ da parte di tutti, la cultura dell’amore per il territorio. Non nascondiamolo, nel capoluogo siciliano la cura del territorio è rara. E a dimostrarcelo è, ancora una volta, la cronaca cittadina.

Gli operatori del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico della Polizia Municipale sequestrano la secentesca Chiesa di Santa Maria dell’Itria, in piazza della Pinta accanto alla Chiesa di San Giovanni degli Eremiti, secondo disposizione del giudice per le indagini preliminari Giovanni Francolini e su richiesta del pubblico ministero Luca Battinieri.

La chiesa mostra tutte le sue ferite aperte: niente intonaco sul prospetto esterno, assenza del portone di ingresso e, non ultimo, lo scavo vicino all’ingresso principale che la rende un pericolo per l’incolumità pubblica. Le ferite interiori poi, sono ancora maggiori. L’architrave soprastante non è stabile, la balconata del coro e gli stucchi del Serpotta sono sporcati dagli escrementi dei piccioni, il pavimento d’epoca danneggiato da un maldestro intervento per la probabile realizzazione dell’impianto elettrico e le scene religiose, tra cui quella della natività, ampiamente danneggiate.

Le violenze e l’abbandono subite dalla chiesa appaiono ancora più evidenti se si guarda la sagoma incorniciata da stucchi del crocifisso che non c’è più (distrutto o perduto? O magari, rivenduto?). L’amarezza nel contemplare questo scempio dà spazio alla riflessione sulla colpa. Accertati i reati di omissione di lavori in edifici che minacciano rovina, la violazione del codice dei beni culturali e il danneggiamento di bene culturale, resta da appurare di chi sia la proprietà e dunque la responsabilità della manutenzione e conservazione.

Da un lato, bisognerebbe che i cittadini stessi sentissero più l’amore verso ciò che appartiene loro dalla nascita. Dall’altro, non si può fare a meno di avere il nome dell’intendenza, che del bene avrebbe dovuto preoccuparsi e preservare dalla rovina. Se la bellezza salverà il mondo, pare a volte non possa salvare Palermo.

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