Non pochi giorni fa un maestro del giornalismo italiano, Eugenio Scalfari, scrisse un articolo dal titolo “Nei grandi romanzi le radici d’Europa” (La Repubblica, 6 maggio 2007). Ancor meno d’un mese prima, il 13 aprile, alla libreria Kalós di Palermo, nell’ambito della rassegna “Oltre l’Isola: viaggio in Europa alla scoperta delle nuove (e vecchie) letterature”, organizzata insieme al Goethe Zentrum di Palermo, era stato presentato dal professore Michele Cometa (Direttore del Dipartimento Arco, Università di Palermo), anche in qualità di curatore e traduttore, il romanzo di Friedrich Schiller, “Il visionario. Dalle memorie del conte von O**” (:duepunti edizioni, Palermo 2007 - formato: 11x16 cm., pagg. 176, euro 9). Sembrano strane coincidenze, ma la convergenza di voci, su un'unica tematica, non può che confermare la felice intuizione della collana “Terrain Vague” – il volume odierno è il n.9 –, che schiaccia l’occhio alle produzioni nostrane del classicismo europeo (dopo l’esordio, nel 2005, della prima traduzione, inedita in Italia, di “Lettere di guerra” di Jacques Vaché, n.d.r.).
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Una collana, quella di “Terrain Vague”, funzionalmente collegata alle necessità mosse dal precitato articolo di Scalfari, che pone l’accento sull’importanza della letteratura nella formazione di un’identità europea, ovvero: «…di una biblioteca condivisa, (anche se idea) nient’affatto nuova, perché un canone letterario c’è sempre stato, proprio attraverso le università in tutta l’epoca medievale e poi, dal Petrarca in avanti, fino a Proust e Thomas Mann, passando appunto per i francesi, per i russi e prima ancora per Goethe. In tempi di procelle intellettuali e morali, come quelli attuali, – conclude Scalfari – è bene tornare a quell’ancoraggio che ci fornisce identità e coscienza di noi stessi». Il ragionamento, per tornare all’editrice palermitana, risulta calzante; perché conferma l’utilità di dare spazio a narrazioni, testimonianze, documentazioni, anomalie, differenze e immaginazioni, che, in “Terrain Vague”, ritrovano spesso scritture rivelatrici di follie, intrighi, personaggi vicini alla nostra complessità, non limitata solo alla dimensione reale ma estesa anche al fantastico. Il Visionario, pubblicato a puntate tra il 1787 e il 1789 (per riprendere le economie della rivista «Thalia», diretta da Schiller n.d.r.), conobbe immediato successo oltre confine (Coleridge, Wodsworth e Ann Radcliff, in Inghilterra, lo adottarono a modello della new gothic novel). Nonostante l’incompiutezza non è detto che l’opera non sia la sottile trama rivelatrice del magico filo di Teseo per uscire dal labirinto di ciò che siamo e che potremmo essere. Il Visionario, nella Venezia del ‘700, è, infatti, un’orgia d’imprevisto e ciarlataneria; fascino della ragion pura e schiavitù dello spirito; scatole concentriche d’intrigo ed esoterismo, racconto a più voci narranti. Una masquerade di personaggi che affabula, con un’unica verità a prevalere, quella del lettore.