TEATRO
"Bobby Fischer vive a Pasadena": al Libero storie di vita
Un dramma sulla famiglia e le dinamiche della società: si tratta di "Bobby Fischer vive a Pasadena", scritto dallo svedese Lars Norén con la regia di Beno Mazzone
Che il teatro possa diventare una metafora di vita, è risaputo. Esistono lavori in grado di portare sulla scena un universo sommerso, fatto di tanti mondi e dalle infinite sfumature dell'animo umano: il punto di partenza è proprio il palcoscenico, tanto per gli attori, tanto per quanti stanno seduti dalla parte del pubblico.
Ci sono casi, poi, in cui è il teatro stesso a raccontare di sé, ed ecco che proprio una pièce diventa punto di partenza per una riflessione: questo è il caso di "Bobby Fischer vive a Pasadena" prossima produzione del teatro Libero di Palermo, in scena da giovedì 7 a sabato 9 marzo alle ore 21.15. I biglietti hanno un costo di 15 euro (intero), 13,50 euro (ridotto carte sconto), 10 euro (under 25) e per l'acquisto è necessario prima verificare la disponibilità telefonando al botteghino del teatro al numero 091.6174040.
Sul palco, Sara Alzetta, Mirella Mazzeranghi, Mauro Perugini e Rosario sparno, con la regia di Beno Mazzone. Si tratta di un'opera scritta da Lars Norén, poeta, romanziere, drammaturgo e regista teatrale svedese, da sempre attento alle dinamiche della società contemporanea. Il dramma in scena al Libero parte dal racconto di una serata come le altre: protagonista una famiglia di ritorno dal teatro, dopo aver visto "Lunga giornata verso la notte" di Eugene O'Neill.
Quella che sembra essere una banale occasione in realtà è molto di più, perché diventa spunto per conoscere le storie "sommerse" dei personaggi: la madre è un ex attrice, il padre un uomo d'affari lontano dalle passioni artistiche, la figlia non vive più in famiglia e il figlio soffre di problemi psichici. Questi protagonisti si ritrovano insieme, e proprio questa vicinanza forzata rivela forti tensioni derivanti da conflitti mai sopiti, cui si aggiungono insoddisfazioni e rimpianti.
Non esiste un modo per risanare il conflitto, a nulla serve indossare le maschere sociali: il dolore esplode, diventa rabbia e alienazione e si rimane imprigionati dentro una famiglia che altro non è che un contenitore troppo piccolo e troppo pieno di esseri incapaci di provare empatia, ma capacissimi di condannarsi e condannare.
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