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Le estati felici in colonia a Ficuzza: storie sul magico (e abbandonato) regno dell'infanzia
Adesso è uno spettrale edificio abbandonato, ma per tanti anni la struttura montana ha fatto la felicità di diverse generazioni di bambini, oggi adulti. Ecco i loro ricordi
La colonia estiva a Ficuzza
"Le colonie climatiche” nacquero a partire dagli anni ’20 del Novecento, nell’ambito delle numerose iniziative di politica sociale messe in campo dall’Azienda delle Ferrovie dello Stato e alla fine dell’anno 1930 la gestione venne affidata all’ OPAFS (Opera di previdenza ed assistenza per i ferrovieri dello Stato).
Il patrimonio immobiliare, inizialmente costituito da quattro o cinque immobili ricevuti dall’ex associazione nazionale di categoria, andò via via accrescendosi, sino a raggiungere l’imponente consistenza di 18 immobili: 12 colonie marine e 6 montane, tra cui Ficuzza.
Con treni o corriere appositamente organizzate, i bambini raggiungevano le colonie dove venivano, poi, suddivisi in gruppi in base all’età e agli interessi, così da favorire la socializzazione, intento principale della permanenza in colonia.
I giovanissimi ospiti erano affidati alle cure di personale (selezionato dall’OPAFS) che forniva “un’affettuosa assistenza e materna sorveglianza”: in ogni colonia vi era una Direttrice, coadiuvata da una segretaria e dalle dirigenti dei vari servizi (cucina, guardaroba, ecc.) che sovraintendeva all’andamento della colonia.
L’assistenza sanitaria era affidata a un medico, e a una o due infermiere. La sorveglianza era esercitata dalle capo gruppo e dalle vigilatrici, che dovevano essere insegnanti diplomate.
Il vitto era sano, copioso e continuamente controllato: fa sorridere nella nostra epoca in cui l’obesità infantile è una problematica in forte crescita, l’affermazione del giornalista Mario Resta che nel 1956 con una punta di soddisfazione scriveva su un giornale aziendale: «i bambini ospitati aumentano generalmente di peso, in misura che varia da 1 a 3 chilogrammi».
La nostalgia per la lontananza dalla famiglia durava un paio di giorni appena, poi la vita nelle colonie trascorreva serena e gioiosa tra ginnastica, bagni d’aria e di sole, giochi comuni, passeggiate, spettacoli di fine anno, proiezioni di film e recite.
I bambini partecipavano con entusiasmo e interesse a tutte le attività: la cerimonia dell’alzabandiera al mattino e l’ammaina bandiera alla sera, il richiamo irresistibile dei giochi all’aria aperta, le preghiere mattutine, i turni per lavarsi, la fila indiana per andare in refettori con le vigilatrici armate di fischietti.
La colazione con il latte e l’orzo, il pranzo, il riposo, la merenda e la cena che scandivano le giornate. Si piangeva solo l’ultimo giorno, per il dispiacere di dovere andar via, tra struggenti “addii” o “arrivederci al prossimo anno” e quando si tornava a casa si esclamava solitamente con il broncio: “La colonia dura troppo poco!”.
Oggi molti di quei bambini e di quelle bambine che hanno vissuto estati felici nella colonia del bosco di Ficuzza sono genitori e addirittura nonni; con nostalgia ripensano ai ricordi belli di un’infanzia spensierata, piena di amici e di giochi. Ascoltando i racconti di chi ha vissuto quell’esperienza si sente fortissima la nostalgia.
Il signor Giuseppe, (71 anni) racconta di aver trascorso in colonia a Ficuzza 4 estati, dal 1956 al 1961, l’ultimo anno suo padre non lo mandò, per punizione, perché il ragazzo (che frequentava già la prima media) era stato rimandato in francese.
«Il 2 Luglio del 1956 andai in vacanza da solo, a sei anni neanche compiuti, presso la colonia montana delle FF/SS. Quella era la prima volta che mi allontanavo dalla mia famiglia. L’autocorriera (che partiva da Via Torino) ci condusse a destinazione dopo un interminabile viaggio, su una strada tortuosa e polverosa.
Nell’assolato piazzale di Ficuzza, sotto l’imponente mole della Rocca Busambra, ci venne ad accogliere un sacerdote, il caro e buon padre Milazzo. Il mio primo incontro con il Bosco della Ficuzza fu indimenticabile: mi sembrava di essere in paradiso e mi sentivo libero. Non avevo mai visto un bosco, nemmeno in televisione: anche perché all’epoca c’erano pochissimi apparecchi televisivi (in bianco e nero) e chi poteva permetterseli? La vista della Rocca Busambra, con la sua imponente e maestosa mole, m’intimoriva e nello stesso tempo mi affascinava».
All’epoca il soggiorno durava 1 mese e maschietti e femminucce dormivano in cameroni separati: c’erano 2 camerate femminili e 6 maschili. Il signor Giuseppe ricorda che spesso si proiettavano dei film nel locale sotterraneo dell’edificio; che in refettorio a colazione c’erano pane e latte o pane e cotognata; che il mercoledì a tavola c’era il dolce e la domenica a merenda il gelato e che al mattino veniva distribuita la posta: «Non c’erano telefonini per comunicare con i genitori, l’unico mezzo erano delle cartoline gialle, senza immagini, che scrivevamo o ricevevamo».
Il signor Giovanni (63 anni) è stato a Ficuzza nel 1964 a 6 anni e nel 1969 a 11 anni. «Bel periodo…» dice. «Il primo prato l’ho conosciuto a Ficuzza. Ricordo ancora gli scherzi che facevamo agli spioni: il sacco e le cicale nel letto. Ricordo anche che in colonia ho visto il primo campo di calcio con l’erba e i sedili di legno per gli spettatori, il sapore del gelato alla banana e del vino che rubavo dal fondo dei bicchieri delle vigilatrici, quando sparecchiavo e mettevo a posto le sedie. Ricordo il signor Cianciolo, una sorta di guardiano e factotum sempre disponibile, che guidava il pulmino; ricordo il bosco che mi affascinava e mi spaventava al tempo stesso, soprattutto perché le vigilatrici per paura che ci avventurassimo fuori dalla struttura ci terrorizzavano con paurose storie di lupi e animali feroci che si nascondevano tra gli alberi, di notte o negli anfratti di Rocca Busambra».
Il signor Giovanni ricorda anche il canto che accompagnava l’ammaina bandiera, compito assegnato al cosiddetto “alfiere”: «Discendi tricolore a riposare tra i morti/ che per tuo amor son morti./ Lo sguardo di Dio protegga la Patria. Riposa tranquillo, oh caro vessillo».
Se nei racconti degli ex bambini degli anni ’50 e ’60 emerge prepotentemente il senso di libertà, dai racconti dei ragazzini degli anni ‘80 e ‘90 si comprende che l’esperienza della colonia incoraggiava e sviluppava in molti il desiderio di autonomia.
Anna Zora, classe 1979 è stata in colonia negli anni’80, un anno a Gambarie in Calabria, un anno in Sardegna e due anni a Ficuzza. Mi racconta che la colonia di Ficuzza è rimasta attiva fino al 1992/93 e che il pullman per Ficuzza partiva dalla stazione centrale di Palermo.
Bambini e bambine dormivano insieme, nelle grandi camerate e anche i servizi erano in comune, a parte le docce che si trovavano nel locale sotterraneo e di cui i bambini potevano usufruire a giorni alterni. Le vigilatrici si chiamavano “educatori” o “educatrici”.
Si facevano molte attività sportive o laboratori (pittura su stoffa, su ceramica, realizzazione di murales…) e anche i giochi erano spesso strutturati in mini tornei. Niente televisione, ma tanta voglia di stare insieme e divertirsi.
Durante il riposino pomeridiano obbligatorio, non dormiva mai nessuno e si combinavano scherzi e dispetti, se ne facevano di tutti i colori nelle camerate. «Mi piaceva soprattutto far parte della redazione e scrivere per il giornalino che si stampava alla fine del soggiorno, che durava tre settimane» dice Anna.
«A volte si organizzavano anche delle gite - aggiunge - a Marsala, a Selinunte. La sera dopo cena c’erano i canti a squarciagola accompagnati dalla chitarra. C’era un unico telefono e potevamo solo ricevere chiamate dai familiari. La prima volta che sono andata in colonia avevo sette anni, ero piccola e un po’ spaventata, non conoscevo nessuno. Ero una bambina molto timida. In colonia ho imparato a essere autonoma, ad acquisire sicurezza, a essere più socievole ed estroversa. E’ stata un’esperienza formativa importante».
La gioia e la spensieratezza della colonia sono oggi solo un pallido ricordo: «Ho visto di recente - prosegue Anna - le immagini della struttura ormai abbandonata e vandalizzata: i variopinti murales che ho realizzato con le mie mani insieme a tutti gli altri ragazzi da anni sbiadiscono lentamente sotto il sole. Questa cosa mi ha fatto proprio male, è un grande dolore».
Purtroppo sono tante le colonie estive in disuso. Il fotografo Fabio Gubellini ne ha immortalato diverse, con l’intento di sensibilizzare alla valorizzazione di questo importante patrimonio architettonico e con la speranza che la maggior parte di questi edifici possa essere riqualificato, secondo criteri che rispettino la destinazione d’uso per i quali erano stati concepiti.
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