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La Sicilia che non è Sicilia: il "Ciuri Ciuri" di Diletta Leotta a Sanremo svilisce tutti noi
Da sempre la musica è un linguaggio universale nella misura in cui sa essere identitario, "Ciuri Ciuri" sentita a Sanremo mette in crisi la voglia di staccarsi dagli stereotipi
Diletta Leotta a Sanremo
Io sono convinto da sempre che la musica sia un linguaggio universale nella misura in cui sa essere identitario. Se sai parlare di te e con il tuo linguaggio, in quel momento sei unico ed internazionale, e come mi è stato fatto notare, eterno. Quannu moru di Rosa Balistreri, voce e chitarra, è un brano fortemente identitario, di una modernità e di una bellezza inarrivabili, è moderno ed eterno allo stesso tempo. Parla di noi e lo farà per sempre.
Eminem rappresenta culturalmente le grandi periferie americane, la rivolta contro quel sistema sociale, il senso e il bisogno di rivalsa e riscatto degli emarginati. Quel linguaggio intimo ha superato i confini della lingua e geografici. Tutti abbiamo amato Eminem per quello che rappresentava in modo universale ed assoluto. Distante da noi, eppure intimamente vicino. Eminem funziona in quanto narrazione del proprio mondo. La sua musica associata alle parole siciliane di Ciuri Ciuri è poco più di un insignificante esercizio di stile.
Questo esperimento di Sanremo, nel quale il cliché della coppola è accompagnato alle note di Eminem, sottintende una specie di distanza (non so se cercata o semplicemente frutto di ignoranza, non certo della Leotta ma di chi ha curato la performance) rispetto ai nostri suoni, come se non potessero essere essi stessi moderni, oltre la cristallizzazione fockloristica cui certe sonorità sono state piegate nel tempo.
Personalmente credo che il lavoro di Francesco Giunta, che ha restituito dignità alla nostra lingua con un lavoro trentennale, con canzoni straordinarie come Io c’aiu a tia o Li me jorna, qui nella splendida esecuzione di Antonella Ruggero, ed ancora i lavori di Alessio Bondì a Palermo, dei Lautari a Catania, di Carlo Muratori a Siracusa, siano il tipo di rappresentazioni dell’essere siciliano e in qualche modo, nella loro diversità, sono in grado di dare una forza identitaria, e pertanto in grado di vivere oltre il momento.
Fabio Rizzo, che stimo molto per il lavoro ordinato e colto che fa con la sua 800A Records, mi ha segnalato, commentando l’esibizione di Diletta Leotta, un gruppo che sta producendo e che a breve darà vita al suo primo lavoro discografico. Angelo Daddelli & i Piccioti; ho sentito alcuni brani on-line.
Andrò con interesse al primo concerto utile. Io credo che l’approccio di questa produzione sia un modo necessario per uscire dallo schema folcklorizzato della nostra musica senza avere però paura delle nostre sonorità. Riproporre in modo anche ironico certi stilemi credo sia un modo intelligente e moderno di confrontarsi con la nostra tradizione, e con la rappresentazione che storicamente la Sicilia ha dato di sé, facendola uscire dalle cristallizzazioni affidate al folcklore che fin troppo spesso abbiamo alimentato, anche attraverso i canali ufficiali.
È necessaria una grande cultura, non solo musicale, per riproporre Quannu moru voce e chitarra, o nel caso di Daddelli e picciotti Abballati con fisarmonica e contrabbasso, rinunciando alle certezze ritmiche della batteria, senza per questo dovere rinunciare alla modernità del suono.
Ringrazio di cuore Diletta Leotta e la invito la prossima volta a maggiore accortezza.
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