STORIA E TRADIZIONI
La rivolta dei Vespri e i francesi seppelliti: la leggenda della "Croce della Misericordia"
Vedremo come si sia tramandata la famosa leggenda della "Croce dei vespri" sita in quello che fu il "piano piccolo" di Sant'Anna alla Misericordia e che oggi si chiama piazza Croce dei Vespri
La Croce dei Vespri (foto di A. Prestigiacomo)
Nell'antico quartiere della “Guzzetta”, ovvero la Giudecca ebraica, vi era una contrada detta “della Misericordia” perché era sita in principio una cappelletta in onore alla Santa Vergine e poi una “antiquissima” chiesetta del XIII secolo intitolata a Santa Maria della Misericordia, dipendente dal Monastero Cistercense di Palazzo Adriano. Accanto ad essa vi «era uno Spedale nel 1324». Probabilmente tale chiesetta fu inglobata in quello che per tradizione si pensa essere stato il sontuoso palazzo del prefetto del Val di Mazara, sotto re Carlo D'Angiò, Giovanni di S. Remigio (o Saint Remy), a sua volta trasformato nel più noto e odierno Palazzo Bonet sito in piazza Croce dei vespri, il quale oggi custodisce la Galleria d'arte moderna di Palermo (GAM).
Su questo camposanto fu eretta una croce con una base a forma di piramide detta la “Croce della Misericordia”, ma il Di Giovanni, stando alla sua epoca, dice che «Nel piano allora conteso è oggi la Croce dei Vespri» e racconta inoltre che gli storici del XVII secolo, tra cui l'Inveges e il Di Giovanni e altri, cominciarono a narrare che in quel sito la croce stava ad indicare il luogo di sepoltura dei francesi trucidati durante la rivolta del Vespro, ma in realtà non esiste ad oggi alcun fondamento storico che possa testimoniare tale fatto. In principio la Croce dei Vespri, cioè della Misericordia, non aveva la forma che possiamo ammirare attualmente nell'omonima piazza, era «“una piccola piramide con una croce in cima”, fu sostituita nel 1737 da una colonnetta sormontata da una croce di ferro e coll'antica forma perdette anche l'antico suo nome».
Forse però l'ordine di cambiare forma alla suddetta croce si deve a Vittorio Amedeo di Savoia, come dice Rosario La Duca, ricordando le ricerche condotte da Antonio Salinas in merito: «Probabilmente, il sovrano intendeva con ciò avere un senso di riguardo verso la moglie che, per l'appunto, era francese. […] La colonna eretta nel 1737 era sormontata da un capitello rovesciato del XIII secolo, sorreggente una croce di ferro. E in quella piazzetta, detta anche “Valguarnera” in quanto da essa si accede all'ancora esistente palazzo Gangi-Valguarnera, il piccolo monumento commemorativo rimase fino al 1782».
La croce posta al centro della piazza subì per un periodo la stessa sorte della Piramide della Volta, cioè fu spostata per favorire il miglior transito delle carrozze, ma nel 1873 il Municipio di Palermo volendola ricollocare al suo originario posto si avvide che aveva necessità di essere restaurata e incaricò l'architetto del Comune Marco Antonio Fichera che tentò di riprodurre le forme dell'antico monumento «Ed il monumento, che in parte è ancora quello che oggi si scorge, venne rapidamente costruito: un basamento, una colonna, un capitello non più rovesciato simile a quello antico, il tutto sormontato da una croce non più in ferro ma in marmo». Aggiungerei che venne collocata anche una discreta cancellata in ferro battuto. Nel 1875, su suggerimento di Isidoro La Lumia, fu collocata una lapide nella torre del palazzo Bonet dal Municipio di Palermo che allude al sanguinoso giorno della rivolta del vespro.
Nino Basile non trattenne neanche in questo caso la sua critica sprezzante riferendoci che con questa e altre lapidi il La Lumia «compromise la serietà del suo nome di illustre storico» ma io credo nella buona fede del La Lumia, come in quella degli altri, poiché chi scrive della e per la propria città, lo fa inevitabilmente con amore, e in amore, si sa, non sempre la vista è acuta come dovrebbe. Infine va detto che in realtà, sebbene non esistano prove concrete del “cimitero dei francesi” tramandato dagli storiografi, tranne alcuni ritrovamenti ossei ai tempi del Salinas, non possiamo certo escluderlo completamente invitando con ciò, se non altro, gli studiosi di cose antiche a continuare le ricerche con la medesima passione di chi li ha preceduti.
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