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L'architettura contemporanea di Palermo: un itinerario prezioso ma "purtroppo minimo"

Siamo in via Catania. Ecco che "magrittianamente" un condomino non è più un semplice condomino ma si trasforma in "opera" dell'ingegno creativo dell'uomo

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 6 agosto 2021

L'edificio di via Catania realizzato dallo studio Barraja-Laudicina

È l'ultimo edificio che conclude la corsa della via Catania prima di incrociare lo scorrere trafficatissimo del tratto terminale della via Malaspina. Grigio, compatto, misurato ed elegante, al civico n. 73 insiste uno dei capolavori di architettura contemporanea dello studio palermitano Barraja-Laudicina disegnato e realizzato nella parentesi venticinquennale di professione condivisa.

Armando Barraja e Giuseppe “Pippo” Laudicina, entrambi apprezzati docenti della facoltà di Architettura di Palermo, realizzano qui alla fine degli anni Settanta uno dei progetti brutalisti più vicini alla poetica lecorbusieriana a cui l'edificio si ispira nell'uso calibratissimo del cemento armato faccia vista, pur mantenendo una autonomia formale ben salda alle sperimentazioni compositive dei due progettisti.

Sono dieci piani fuori terra, incorniciati sul prospetto su strada da un recinto perimetrale che raccorda la lama del cornicione superiore ai setti laterali inclinati i quali, unitamente al raffinato disegno centrale di setti e corrimano tutti in cemento armato e costituenti il blocco delle abitazioni soprastanti negozi (piani terra) e ammezzati, concorrono ancora insieme al delicato gioco di ombre cangianti.
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Da segnalare l'interessante cromatismo su scala di verde delle partiture relative agli infissi dei diversi piani, condizione questa di sintesi progettuale nel gioco sapiente del rapporto cosciente figura/sfondo tanto caro alla poetica stilistica dei due architetti.

Nonostante le difficoltà planimetriche indotte dalla irregolarità del lotto a disposizione, il progetto recupera la dimensione sociale dell'architettura urbana, disegnando uno dei fronti più equilibrati e suggestivi dell'intera arteria, dotando del linguaggio contemporaneo una arteria ferma “qualitativamente” al periodo Liberty in sostituzione della quale, purtroppo spesso si ritrova oggi edilizia condominiale di dubbio gusto.

Se la citazione al maestro di Ronchamp naviga su registri di evidenza conclamata, il rimando a certe sperimentazioni relative alla poetica di Louis Isidore Kahn, maestro tra i maestri novecenteschi, si esplica sicuramente in quelle rotazioni dei setti e nella qualità insita nella costruzione della pelle dell'edificio molto prossima al capolavoro kahniano dell’Istituto californiano Salk di La Jolla dei primi anni Settanta.

Ecco che “magrittianamente” un condomino non è più un semplice condomino ma si trasforma in “opera” dell'ingegno creativo dell'uomo, diventa materia per i manuali di storia dell'architettura entrando di diritto negli archivi virtuali del patrimonio progettuale immateriale assurgendo ad esempio per altre opere ed altri progettisti.

È così, che in un itinerario "purtroppo minimo" dell'architettura contemporanea palermitana, questa pregiata costruzione elaborata da due delle più brillanti firme del panorama eclettico del boom economico della seconda metà del secolo scorso, si pone alla testa della ricerca abitativa cittadina di qualità, proiettandosi verso il mezzo secolo di vita con una presenza comunicativa pressoché ancora intatta, malgrado la necessità di un fisiologico progetto di restauro.
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